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Donne, maternità e lavoro: storia di una mamma licenziata

Giulia è stata licenziata da un'azienda svedese dopo aver partorito la sua bambina. L'abbiamo incontrata e ci siamo fatti raccontare cosa è successo

“A metà settembre, dopo due mesi dal parto, mi sono accorta che non mi avevano ancora pagato lo stipendio” sembra fantascienza ma non lo è: questa è la storia di una mamma che è stata licenziata dopo aver dato alla luce la sua bambina.

Donne, maternità e lavoro

La Svezia, secondo le statistiche, è il paradiso del congedo di maternità: i genitori possono chiedere fino a 480 giorni all’80% dello stipendio e possono anche dividersi equamente questo periodo. Abbiamo incontrato Giulia la cui esperienza è stata differente rispetto a quello che ci si aspetta dalla Svezia.

Ho lavorato per gli ultimi due anni per un’azienda svedese. A luglio di quest’anno ho partorito una bambina senza mai smettere di lavorare: il CEO continuava ad includermi in calls e mi mandava richieste per consegne via mail. A metà settembre, senza che io avessi mai preso una pausa dal lavoro, mi sono accorta che non mi avevano ancora pagato lo stipendio. Ho chiesto spiegazioni al CEO il quale mi ha risposto che non mi avrebbe pagato lo stipendio in quanto potevo fare richiesta allo stato per avere un sussidio di 30 euro settimanali.

Che lavoro svolgevi e che tipo di contratto avevi presso questa azienda svedese?

Ero Country Manager per l’Italia con un contratto full time a tempo indeterminato da maggio 2016.

Sei ritornata in Italia, cosa farai adesso? Farai causa all’azienda?

Si, purtroppo non ho altra scelta. Io vivo del mio lavoro e adesso anche mia figlia. Mi dispiace perché è una società in cui credevo e su cui avevo investito molto anche a livello personale. Ho dato tanto all’azienda: lavoravo nei weekend, durante le vacanze e monitoravo sempre il tutto per risolvere i problemi che si potevano presentare. Talmente è stato forte lo shock del licenziamento che ho finito, in anticipo, il latte che prima avevo in eccesso e ho dovuto iniziare a comprare il latte artificiale. Questo è uno dei dolori più grandi di tutta questa vicenda perché volevo che mia figlia crescesse con il latte materno per i primi mesi.

Nel 2018 le donne, purtroppo, subiscono ancora tali ingiustizie. Essere in gravidanza, e avere un bambino, non deve essere visto come un reato o una colpa. Non bisogna mostrare pietà ma solo stima e rispetto per chi ha deciso di costruire una famiglia e conciliare la vita lavorativa.

Scritto da Sabrina Rossi
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