Diagnosi prenatale: che cos’è e quando farla

Uno dei modi di avere una gravidanza serena è avere notizie sulla salute del bambino: la diagnosi prenatale può aiutare la futura mamma a ottenerle.

La gravidanza, si sa, è un periodo denso di emozioni: i futuri genitori si preparano ad accogliere una nuova vita e questo può portare qualche preoccupazione. La mamma, per esempio, vede il suo corpo cambiare e deve stare attenta a molte cose a cui prima magari non faceva caso. Inoltre, giustamente, c’è la preoccupazione per la salute del bambino: nascerà sano? Avrà problemi? Fortunatamente, a questa domanda è possibile dare alcune risposte tramite la diagnosi prenatale.

Cos’è la diagnosi prenatale?

La diagnosi prenatale consiste in una serie di esami da fare durante la gravidanza che vanno a evidenziare eventuali problemi e anomalie genetiche del nascituro (l’anomalia più famosa è la Sindrome di Down). Si dividono in esami invasi e non invasivi. Gli esami invasivi sono l’amniocentesi e la villocentesi. Gli esami non invasivi sono la translucenza nucale e il dna fetale nel sangue materno. Andiamo a vedere di cosa si tratta.

Diagnosi prenatale non invasiva: translucenza nucale e DNA fetale nel sangue materno

La translucenza nucale consiste nella misurazione della nuca del feto. Non si tratta di una misura invasiva, in quanto questa misurazione viene effettuata durante un’ecografia fatta tra l’undicesima e la quattordicesima settimana. Se la misurazione calcola un valore aumentato rispetto alla norma, molto probabilmente si avrà un’anomalia genetica e una cardiopatia nel feto. Non si tratta comunque di un esame vero e proprio, ma di un calcolo dei rischi. con questo esame vengono individuati all’incirca l’80% dei casi di Sindrome di Down.

Il DNA fetale nel sangue materno, invece è un semplice prelievo del sangue fatto alla mamma a partire dalla decima settimana di gravidanza. Dal suo sangue verrà isolato il DNA del bambino, su cui verranno effettuate le analisi dei cromosomi in modo da individuare le anomalie genetiche che comunque consentono la sopravvivenza del bambino al primo trimestre di gravidanza.

Diagnosi prenatale invasiva: amniocentesi e villocentesi

Questi particolari esami hanno una procedura apparentemente molto simile: consistono entrambe in una puntura transaddominale con l’aiuto di un’ecografia. La differenza è che l’amniocentesi viene effettuata alla sedicesima settimana e serve a prelevare il liquido amniotico per l’esame genetico del feto.

La villocentesi, invece, viene fatta tra l’undicesima e la dodicesima settimana di gravidanza e serve a prelevare un campione di trofoblasto placentare sui cui fare l’esame (il trofoblasto placentare è un insieme di cellule che dà origine alla placenta e che la nutre). Entrambi gli esami sono sicuri, il rischio di aborto è dell’1%.

Quando fare la diagnosi prenatale

In realtà, la diagnosi prenatale non è un obbligo. Viene fortemente consigliata quando in famiglia ci sono casi di anomalie genetiche, oppure quando la mamma supera i 35 anni di età, in quanto il rischio di incorrere in anomalie si fa più alto da quel momento in poi.

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