Neurodivergenti? Lo erano anche Michelangelo, Walt Disney ed Einstein: non è una disabilità

Lo erano Beethoven e Mozart, così come Michelangelo e Walt Disney. Eppure ancora non è chiaro all’intera società cosa sia la neurodivergenza che interessa in Italia 6 persone ogni mille. A Mamme Magazine l’intervista alla logopedista Viviana Gaglione

Di Manuela Vacca

 

La neurodivergenza è più diffusa di quanto si pensi e oggi coinvolge sempre più famiglie, dato che prima non sempre era diagnosticata. Il cervello umano è un organo complesso e non funziona sempre allo stesso modo. Occorre sfatare alcuni miti, capire che cosa significa essere neurodivergenti e che in un bambino neurodivergente il rimprovero non funziona, come spiega a Mamme Magazine l’esperta, la dottoressa in Logopedia Viviana Gaglione.

Che cosa è la neurodivergenza?

La neurodivergenza non è una disabilità, ma un funzionamento del cervello che differisce dalla normotipicità: il cervello elabora stimoli sensoriali (visivi, tattili, udivi, olfattivi), sociali e relazionali in modo diverso da ciò che è considerato standard. Condizioni come l’Adhd, l’autismo e i più comuni disturbi specifici dell’apprendimento rientrano nella sfera delle neurodivergenze. Quello che spesso non si vede delle neurodivergenze, sono le risorse interiori e i punti di forza straordinari dati proprio dalla capacità di elaborare le informazioni fuori dagli schemi ordinari e trovare soluzioni geniali. La neurodivergenza è Albert Einstein, Charles Darwin, Emily Dickinson, Michelangelo, Walt Disney, Steven Spielberg, Lionel Messi, Beethoven, Mozart e Bob Dylan. E molti altri ancora. Così forse è più semplice capire che la neurodivergenza deve essere compresa e intesa come una diversità di funzionamento del cervello umano: ogni persona elabora le informazioni e interagisce con il mondo nella sua modalità propria e unica. Siamo tutti, chi più chi meno, neurodivergenti”.

Come ci si relaziona con un bambino neurodivergente?

Comprendendo innanzitutto che il rimprovero non funziona. Personalmente non lo uso mai con nessuno dei miei clienti (non sono da considerare pazienti): il rimprovero svilisce, umilia, degrada e affossa l’autostima, non ci dà la possibilità di migliorare. Il cervello registra che è accaduto qualcosa di negativo e si chiude ancora di più alla possibilità del cambiamento. I rimproveri azzerano la percezione che ognuno di noi ha di “sentirsi bravo”, adeguato e di poter fare meglio. La datata, indistruttibile e fallimentare tecnica del rimprovero e del no andrebbe definitivamente mandata in rottamazione. Vanno invece rinforzati positivamente e premiati per le loro abilità e gli sforzi che compiono per adattarsi in un mondo “standard” che li addita e li punisce perché pensano e apprendono in modo diverso. Pensiamo alla scuola: ancora non ha una formazione specifica per insegnare alla neurodivergenza, ancora crede che quello sbagliato sia il bambino atipico e non si pone in nessun modo in discussione per cambiare. Vanno supportati con strategie specifiche e tipiche dell’analisi comportamentale per dar loro modo di esprimere al meglio le potenzialità e sentirsi unici e giusti in questo noioso mondo standard”.

Ma di che numeri parliamo in Italia?

Gli studi epidemiologici più recenti forniscono la stima di sei persone neurodivergenti ogni mille abitanti, secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità. È un dato in aumento”.

I genitori di bambini neurodivergenti devono anche sopportare dei costi importanti per le terapie?

Le famiglie che vogliono lavorare bene con i propri bambini devono rivolgersi al privato perché le strutture pubbliche non supportano il trattamento intensivo. Due ore alla settimana di terapia sono una goccia in un oceano e non servono a niente. Quindi le famiglie che vogliono supportate i figli devono sobbarcarsi i costi di una terapia intensiva, cioè un minimo di 40 ore alla settimana”.

Qual è la strada da seguire per essere di sostegno alle famiglie che hanno un figlio affetto da neurodivergenza?

I genitori devono uscire dagli schemi. Devono infatti mettersi in gioco in prima persona: informarsi e studiare per capire come aiutare e supportare i propri figli. Devono rivolgersi a specialisti che diano a loro genitori strumenti efficaci per la gestione nella vita quotidiana. Devono creare una rete solidale, scevra da vergogna e pregiudizi, per scambiarsi informazioni su come tutelare i propri figli nella scuola e nella società. Devono pretendere un cambiamento da sé stessi, in primis, e dall’ambiente perché in questo mondo “standard” sono sempre i “figli degli altri”: finché non entrano nel nostro giardino li guardiamo da lontano e con sufficienza. E invece devono essere i figli di tutti devono essere tutelati e protetti in ogni ambiente – scolastico e lavorativo -, devono avere una rete sociale forte che li supporti nelle inevitabili battaglie giuridiche legali a cui andranno incontro per vedere rispettati i diritti dei propri figli”.

Foto: Pixabay

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