ESCLUSIVA. Lettera di una madre: quella fuga in treno per un gelato e la mia vita con un figlio neurodivergente

A Mamme Magazine il racconto in esclusiva di Lisalberta Castaldi, la mamma del bambino neurodivergente che è salito in treno da Saronno per prendere un gelato a Milano senza dirlo ai propri genitori

di Lisalberta Castaldi

 

Da Saronno a Milano Cadorna in treno per il suo gelato preferito. Il protagonista della vicenda è un bimbo di sette anni affetto da una neurodivergenza che, senza avvisare i genitori, giovedì scorso, è uscito alle 20,30 per raggiungere la capitale lombarda. Ha viaggiato accanto a una signora anziana facendo credere di essere con lei. È stato ritrovato dopo un’ora e mezza dalla PolFer nello scalo ferroviario milanese mentre i genitori vivevano momenti di angoscia e, intanto, lo cercavano insieme ad amici e vicini nelle vicinanze dell’abitazione.

La lettera

È stato di giovedì. A cena, la famiglia riunita in giardino con il caldo piacevole di giugno. Lui scende in taverna a giocare. È una scusa ma noi non lo sappiamo ancora. A lanciare l’allarme pochi minuti dopo è mia figlia. “Mamma giù non c’è”. Cerchiamo in tutta la casa. Sparito. Panico e caldissimo alle guance. Il mio bambino di sette anni. Le ricerche e l’attesa, le preghiere e mille volte a chiedere ancora: “l’avete trovato?”. E poi finalmente rieccolo. Gli agenti della Polfer lo trovano alla stazione di Milano Cadorna. Lo abbraccio e lo tengo stretto forte. Da solo ha fatto oltre un chilometro a piedi, semafori, strisce pedonali, quasi mezz’ora di treno. Da quando ho ricevuto la diagnosi di iperattività di mio figlio ho sempre evitato di parlarne e, confesso miseramente, durante le disperate ricerche di giovedì sera, quando mi avevano avvisata della mobilitazione della stampa, è stato il mio primo pensiero: “e se poi lo dicono? E se viene fuori?”. “E se scoprono le catacombe che abbiamo costruito noi famiglie di neuro divergenti? Una città sommersa nella città. E se fossi proprio io a condurre Gargamella nel nostro villaggio?”.

Così, mentre i primi articoli e relativi commenti inneggiavano alla brillantezza di pensiero di mio figlio, mi sentivo manchevole,  usurpatrice e accerchiata. L’indomani parlando con una amica, guardandomi dritta negli occhi mi dice: “Lisa, ma che paura hai? A te hanno praticamente detto subito che è benigno e ti ipotizzano pure la tanto agognata plusdotazione… mio figlio invece è autistico, quindi la sua è una neuro divergenza maligna!”. E così ho scoperto che il mondo considera la neuro divergenza come un tumore che può presentarsi in forma benigna o maligna, mutevole o cristallizzata, ambientale o genetica.

Eppure io quando penso alla neuro divergenza penso a diversi bambini con cui ho camminato, sognato e lavorato come insegnante e in loro non ho mai colto nulla di maligno da estirpare o rimuovere. Tanto su cui lavorare sì, ma questo non mi ha mai fatto paura. Con il pensiero ho ripercorso i miei vent’anni di insegnamento in cui ho sempre riconosciuto i bambini neuro divergenti e prima ancora di conoscerli personalmente, li ritrovavo nei loro “genitori interrotti”. Li riconoscevo nel fatto che questi genitori ti chiedessero dei figli guardando quasi sempre il pavimento, che vedessero gli inviti ai compleanni dei compagni come gli esami di stato e le vacanze come una maratona senza fine: un’apnea sociale e personale all’interno di un’esistenza già molto poco ossigenata e arieggiata.

Li riconosci quando non capiscono proprio l’imperversare delle altre mamme all’ennesima circolare sulla pediculosi, perché le loro battaglie quotidiane sono ben altre e all’interno di una guerra di cui non vedono la fine e soprattutto non si risolvono con uno shampoo della farmacia. Per un patto di tregua sarebbero anche disposti a berselo quello shampoo. Inoltre ho realizzato che noi genitori di bambini neuro divergenti ci riconosciamo e agganciamo tra di noi, perché negli ultimi anni i contatti di questi genitori sono aumentati vertiginosamente nella mia rubrica, lasciando indietro quelli che “tanto non capirebbero”.

Ebbene sì, in qualsiasi ritrovo quando sento il profumo di neuro divergenza mi ci fiondo come si segue il canto di una sirena, perché di sicuro quel genitore è una di quelle creature rare che non ti giudicherebbero mai e magari potrebbe pure capire te e tuo figlio. Ma le creature più preziose rimangono comunque i tuoi conoscenti o amici che nella vita si sono compiuti, magari anche generosamente, andando a compensare e fiorire proprio su quelle neuro divergenze su cui tu stai lavorando. Sono i miei fari, questi pezzi da collezione terapeutici non me li faccio mai mancare.

I miei compagni di viaggio sono stati tra i primi a chiamarmi e chiedere, mentre le mie conoscenze impomatate di una vita passata non le ho proprio sentite, tanto abito in un altro villaggio lontano e non confinante con il loro e nessuna delle due parti ha sentito il bisogno di questo contatto. Come ad evitare un’invasione di campo che non si fa per un tacito accordo consolidato nel tempo. Con il duplice ruolo di insegnante e madre mi chiamano spesso mamme disperate, raccontandomi le loro fatiche e le ingiustizie rilevate nel sistema, che possono variare da una scuola privata che ti chiude i battenti al fatto che se vogliono mandare il figlio (magari autistico di livello 1 ad alto funzionamento) a fare un corso intensivo di inglese all’estero devono trovare un accompagnatore, pagarlo e pagare anche l’intero viaggio e soggiorno di quest’ultimo. E se i costi aggiuntivi di questi ragazzi fossero spalmati sulle altre quote? Perché no!

Quando mi capita di insistere affinché si facciano sentire, rilevo in loro il senso di colpa e la voglia di non aprire queste catacombe, perché si rendono conto che così le battaglie diventano due: quella con il proprio figlio e quella con il sistema, oltre a quella che ti lacera e ti lavora dentro come un muscolo involontario anche quando dormi, respiri o semplicemente fai scorrere dei vestiti sull’attaccapanni di un negozio. Scrivo queste righe nella speranza che questa avventura di mio figlio nel mondo possa aprire qualche spiraglio tra queste due realtà: non voglio scegliere, perché abito entrambe e so che possono convivere serenamente.

Lisalberta Castaldi

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