Un segnale di pericolo può vedersi sulla pelle: il 90 per cento delle persone colpite da Hiv sviluppa patologie della pelle prima della diagnosi o durante il trattamento. Secondo la Sidemast bisogna agire sulla formazione e serve una task force per riconoscere i segnali-spia
di Redazione Mamme Magazine
La pelle svela più di quello che si crede. In particolare, nel caso dell’Hiv i segni cutanei sono spesso i primi a manifestarsi lanciando un segnale d’allarme per una diagnosi che, se tempestiva, può fare la differenza. Lo sottolineano gli esperti della Società italiana di Dermatologia e malattie sessualmente trasmesse (Sidemast) in vista del Congresso nazionale organizzato a Roma, dal 18 al 21 giugno, nell’ambito del XIV International Congress of Dermatology.
“Il 90 per cento delle persone con Hiv sviluppa almeno una patologia cutanea prima della diagnosi o durante il trattamento: questo fa capire quanto sia importante la tempestività dell’intervento del dermatologo che può avere un ruolo chiave nella diagnosi precoce della malattia e nel velocizzare la presa in carico del paziente”, spiega Maria Concetta Fargnoli, vicepresidente Sidemast e direttore scientifico dell’Irccs Istituto Dermatologico San Gallicano di Roma.
Allarme sui numeri dell’Hiv
Preoccupano in Italia i numeri dell’Hiv. Per l’Istituto Superiore di Sanità, nel 2023 sono stati 2.349 i nuovi casi, corrispondenti a un’incidenza di quattro nuovi casi ogni 100mila abitanti. I dati segnano un aumento rispetto al 2022 (dal 2021 si è tornati a registrare un incremento costante). L’Organizzazione mondiale della sanità rileva un dato allarmante: nonostante l’84 per cento delle persone con Hiv sia consapevole della propria sieropositività e l’87 per cento di chi ha ricevuto la diagnosi riceva la terapia antiretrovirale, non risulta in trattamento il 13 per cento di loro, fatto che fa crescere il rischio di trasmissione.
Pelle e infesioni Hiv: quando è sospetto?
Secondo la professoressa Fargnoli “alcune malattie della pelle, pur non essendo specifiche dell’Hiv possono rappresentare un primo segno di infezione da Hiv, in particolar modo quando si presentano in forma atipica, grave e soprattutto resistente ai trattamenti”. E prosegue: “Le manifestazioni che devono allertare il paziente sono un’eruzione maculo-papulare simile a quella di una mononucleosi o morbillo, la dermatite seborroica, spesso più estesa e resistente ai trattamenti rispetto alle forme comuni, herpes zoster ricorrente o particolarmente esteso, scabbia diffusa e refrattaria alle terapie standard, infezioni fungine croniche come candidosi orale ed esofagea, dermatofitosi estese, forme particolarmente gravi di psoriasi”.
Dermatologo come sentinella e task force di specialisti
“Il dermatologo è quindi, in molti casi, il primo specialista ad intercettare l’infezione la cui presenza deve essere poi confermata da un’analisi del sangue con test specifici per l’Hiv – sottolinea Lidia Sacchelli, assegnista di ricerca al Policlinico Sant’Orsola Malpighi di Bologna –. In un certo senso potremmo parlare di ‘dermatologi-sentinella’, che appena individuano la criticità, possono poi attivare l’intero iter diagnostico-terapeutico”.
La mancanza di linee guida operative aggiornate che forniscano ai professionisti strumenti chiari per identificare i casi sospetti è una delle criticità da affrontare. Dice la professoressa Fargnoli: “Abbiamo bisogno di strumenti e formazione per migliorare la capacità di effettuare diagnosi precoci, solo così potremo essere ancora più tempestivi, considerando che meno tempo passa tra l’individuazione di un segno sospetto, più possibilità avremo di limitare il decorso della malattia e le sue conseguenze”.
Una rete di specialisti
Sidemast, con altre Società Dermatologiche, ha lanciato la proposta di una task force di dermatologi venereologi esperti, riconosciuta a livello scientifico e in grado di guidare la ricerca, la formazione e il coordinamento con infettivologi e altri specialisti. “Il nostro obiettivo è specializzare ulteriormente i dermatologi per riconoscere in modo sempre più tempestivo i segnali che possono indicare la presenza dell’Hiv, e collaborare in maniera strutturata con i colleghi infettivologi per il miglior trattamento possibile”, conclude Maria Concetta Fargnoli.
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