Disturbi alimentari, quando il cibo è una dipendenza anche per le neomamme

Sono sempre più frequenti i disturbi alimentari, anche solo in alcune fasi della vita. Non sempre si mangia per soddisfare un senso di fame. A volte il cibo serve per sopperire a bisogni, a colmare certi vuoti, ad alleviare lo stress e molto altro. Anche le neo mamme possono trovare nel cibo una valvola di sfogo che può diventare anche una vera e propria dipendenza. Tra notti insonni, nuovi equilibri e il peso delle responsabilità, molte donne si trovano a gestire stress ed emozioni intense.

di Francesca Birello*

 

Alcuni studi hanno confermato che il comportamento alimentare è influenzato dalle condizioni di stress attraverso alcuni meccanismi biologici. Lo stress cronico, infatti provoca un cambiamento nella regolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (Hpa) ed è opportuno tenere in considerazione che nel periodo post gravidanza gli ormoni possono influenzare il disturbo alimentare, in quanto gli estrogeni stimolano proprio maggiormente l’attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (Hpa), che aumenta così la reattività dell’organismo allo stress.

La fame nervosa

Si ipotizza così che l’esposizione prolungata allo stress e il periodo post gravidanza, se pur bellissimo, può essere un periodo di alto stress, potrebbe causare la “fame nervosa”, non correlata alle risposte di fame o di sazietà, ma innescata da segnali emotivi. Mangiare diventa un rifugio, un momento di gratificazione in una routine spesso frenetica e stressante. Ma quando il cibo smette di essere nutrimento e diventa un’ossessione, è importante riconoscere i segnali e trovare strategie per ristabilire un rapporto sano con l’alimentazione.

Se il cibo allevia lo stress

Il cibo è fonte di vita, necessario al nostro corpo per vivere bene e in salute: ci nutre, ci dà forza, tuttavia alcune persone ne sviluppano un rapporto disfunzionale, qualcuna anche di dipendenza in alcune fasi della vita o per diverso tempo. Capita che non sempre si mangi per soddisfare la fame. Molti di noi utilizzano il cibo per alleviare lo stress emotivo o altre volte come ricompensa. I disturbi alimentari sono accomunati dalla mancanza di consapevolezza dei propri stati interni, da esperienze di evitamento degli stessi e dal forte desiderio di mantenere, attraverso la gestione del comportamento alimentare, un controllo sui propri pensieri, sulle proprie emozioni e sensazioni corporee, che vengono così spesso evitate e non conosciute.

Il piatto diventa un rifugio

Il rifugiarsi dietro al piatto (o dentro al bicchiere) è un bisogno che spesso nasce dal rapporto che la persona ha con sé stessa. L’utilizzo che fa del cibo spesso è legato al vissuto emotivo e relazionale, presente e passato. Sempre più spesso sulla tavola riversiamo frustrazioni, ansie, vuoti, malinconie e quell’aperitivo, quella cena, quel bicchiere in più a volte servono per prevenire stati di disagio o per alleviare sentimenti di inadeguatezza, di impotenza, di ansia. Il bicchiere di vino o quel particolare alimento diventano così un vero e proprio anestetico per la mente, usato in modo spesso inconsapevole, per evitare di vivere emozioni negative.

Stress, rabbia, tristezza, solitudine

Sono tante le emozioni che possono spingerci a cercare rifugio nel cibo. Questo comportamento viene chiamato fame nervosa perché porta a mangiare per soddisfare un bisogno psicologico, non per vera e propria fame. Si parla di fame emotiva o nervosa quando l’organismo, indipendentemente dal senso di sazietà, ricerca il cibo anche fuori pasto, o in sovrabbondanza, o addirittura durante la notte. La fame in questo caso arriva quando il nostro corpo non ha effettiva necessità di nutrirsi, ma è spinto appunto dalle emozioni non tollerate.

L’autostima

Mi è capitato spesso di sentire pazienti che dicevano “Dottoressa ho l’autostima sotto i piedi, mi sento inadeguato/a con gli altri, ho problemi a lavoro e la mia vita sociale non va, quindi mangio”. Ecco questa è la fame emotiva: mangiare per far tacere le emozioni sgradevoli. Nella nostra cultura, fin da piccini, siamo abituati a vedere il cibo come un premio: “Se smetti di piangere ti do una caramella”. Il cibo diventa così la soluzione, ma da grandi può diventare anche la causa del problema, perché si stabilisce così un circolo vizioso difficile da interrompere e che si potrebbe conclamare nel tempo. Senso di colpa e vergogna sono emozioni che generalmente seguono gli episodi di fame emotiva e che di conseguenza alimentano e mantengono lo stato di stress e di malessere a cui la persona risponde mangiando.

Quindi la soluzione iniziale del rifugiarsi nel cibo è temporanea perché non sono stati compresi e risolti i sentimenti alla base del bisogno di cibo. Questo genera frustrazione e ulteriore malessere, che fa riprecipitare nel disagio iniziale. Poi ci possono anche essere ripercussioni sulla salute fisica oltre che psicologica: sovrappeso, sviluppo di patologie cardiovascolari e del metabolismo non sono certo da trascurare.

L’ormone dello stress

La motivazione che spinge verso il mangiare o il bere non è più quindi quella di nutrirsi o di dissetarsi, ma è mediata da un circuito neurale che innesca il comportamento disfunzionale allo scopo di attivare una risposta di piacere. Dalle recenti ricerche scientifiche, si è visto che la combinazione di cibi grassi e dolci a livello chimico, inibisce temporaneamente la produzione di cortisolo, l’ormone responsabile dello stress. In altre parole, si innesca un circolo vizioso: la persona sta vivendo un periodo di notevole tensione emotiva, che non riesce a contenere o ad elaborare e trova nel cibo o nel bicchiere di vino, lo scarico a questa tensione. Una soluzione a breve termine, perché insalubre e disfunzionale che crea poi nel lungo termine ulteriore tensione emotiva. Quindi l’iniziale soluzione si è rivelata fallimentare, comportamenti e stati d’animo si rinforzano a vicenda.

Alcuni consigli per la gestione della fame emotiva

– Essere stati abituati a seguire un’alimentazione varia e sana sin da bambini, è un fattore di protezione rispetto all’alimentazione compulsiva e sregolata.

– Il riconoscimento e l’accettazione delle emozioni, soprattutto quelle negative, la ricerca e l’apprendimento di modalità alternative per affrontare lo stress, l’ansia, la solitudine, la noia imparando anche a contrastare il desiderio incontrollabile di mangiare, sono passaggi fondamentali da percorrere per spezzare il circolo vizioso della fame emotiva.

– Secondo l’Iss (Istituto Superiore di Sanità), in Europa circa 20 milioni di persone soffrono di disturbi alimentari, si fa riferimento in particolare ad anoressia e bulimia. La percentuale di italiani che soffrono da dipendenza da cibo coinvolge circa 3 milioni di persone.

– La pandemia che abbiamo vissuto, inoltre, ha avuto ulteriori ricadute negative sull’intensificarsi e diffondersi dei disturbi alimentari. Lo dimostra anche uno studio condotto da alcuni ricercatori del King’s College di Londra e pubblicato sulla rivista “The Lancet” dove è stato riportato che la quarantena ha provocato l’aumento delle ricadute o il peggioramento dei casi di fame emotiva e degli altri disturbi del comportamento alimentare, ma purtroppo anche dell’insorgenza di questo disturbo in chi non aveva mai sofferto.

– Per gestire la fame emotiva è necessario imparare a distinguere efficacemente la fame nervosa da quella fisiologica, in modo da poter apprendere quali sono i motivi dei nostri comportamenti e abitudini alimentari per poterli poi modificare. Mentre la fame fisica arriva in modo graduale, la fame emotiva è improvvisa e sembra irrefrenabile, si tende a prediligere specifici cibi consolatori. Quando invece siamo fisicamente affamati abbiamo voglia di mangiare qualsiasi cibo. Durante gli episodi di fame emotiva non siamo in grado di riconoscere i segnali di fame e sazietà. E questa è accompagnata da senso di colpa o di vergogna. Il principio cardine su cui poterle differenziare è la fonte del segnale. Nella fame fisiologica il segnale proviene dallo stomaco e per spegnerlo potrei assumere qualsiasi cibo per “fermare lo stomaco”. In quella emotiva, il segnale proviene dalla mente: “Ho voglia di quel determinato gusto o tipologia di cibo”.

– Potrebbe inoltre essere utile tenere un diario alimentare emozionale, in cui segnare i momenti in cui sentite forte il bisogno di mangiare o bere quel bicchiere, scrivendo i pensieri e le emozioni che provate.

– Importantissimo anche trovare delle attività piacevoli che possano sostituire in modo sano le sensazioni gratificanti prodotte dal cibo, per sostituire gli alimenti con qualcos’altro di più funzionale.

– Fondamentale anche seguire delle regole alimentari sane, non tanto una dieta quanto una rieducazione alimentare. Per esempio, correre a tavola non significa mangiare la stessa quantità di cose, ma di più, perché il centro nervoso della sazietà si attiva dopo 20 minuti dall’inizio del pasto e nel frattempo noi abbiamo già ingerito altro cibo. Sarà, quindi, necessario riorganizzare lo stile di vita.

L’esperto. La gestione della fame nervosa è dunque complessa, coinvolge mente e corpo, pertanto se noti che la situazione inizia a sfuggirti di mano, per imparare a gestirla sarebbe opportuno rivolgersi a psicologo e nutrizionista.

*Francesca Birello
Psicologa-psicoterapeuta – Sito: www.drssabirello-psicologofirenze.it