L’appello della Sip, la Società Italiana di Psichiatria, arriva in occasione del World Eating Disorders Day alla luce dei dati preoccupanti: basta ai luoghi comuni e alle semplificazioni mediatiche davanti alla complessità dei disturbi alimentari. La direzione da intraprendere è quella di un equilibrio tra salute mentale e fisica
di Redazione Mamme Magazine
“Negli ultimi anni l’attenzione mediatica è cresciuta e si sono moltiplicate le campagne per combattere stereotipi estetici e stimoli sociali negativi. Tuttavia, questo slancio comunicativo ha spesso generato confusione, sovrapponendo concetti diversi – salute e politica, malattia e cultura, natura e ambiente – e trascurando la base clinico-biologica della malattia. Un esempio evidente è il movimento della body positivity dove la giusta lotta agli stereotipi estetici si è fusa con il principio dell’inclusività, rischiando però di incoraggiare, inconsapevolmente, comportamenti errati o di ostacolare l’accesso alle cure”.
Le parole sono di Liliana Dell’Osso, psichiatra e presidente della Sip, ossia la Società Italiana di Psichiatria, che coglie la ricorrenza del World Eating Disorders Day (il 2 giugno in tutto il mondo) per lanciare un appello che il corretto equilibrio tra salute mentale e salute fisica, evitando semplificazioni. In sintesi la complessità dei disturbi dell’alimentazione, semplificati per troppo tempo ridotti a problematiche culturali o di immagine corporea.
Lo sguardo corretto
“Un peso corporeo eccessivo, ad esempio non deve essere motivo di vergogna o esclusione sociale, ma va comunque corretto per prevenire complicanze metaboliche e cardiovascolari, a volte anche gravi”, spiega la specialista che avverte anche sui rischi degli ‘alibi ideologici’, che possono legittimare condizioni patologiche estreme ostacolando la consapevolezza e l’accesso alle terapie.
Limitarsi alla visione ambientale dei disturbi alimentari ha ormai relegato a secondario un attore determinante quale la vulnerabilità neurobiologica individuale. “In molti pazienti si osservano tratti di spettro autistico, come la ruminazione mentale su interessi ristretti. Nelle ragazze questi aspetti passano spesso inosservati a causa di strategie di mimetizzazione sociale”, chiarisce la presidente Dell’Osso.
I disturbi in epoche diverse e contesti diversi
Lo dice anche la storia clinica: i disturbi alimentari non sono un prodotto della società moderna, come dimostra il caso dell’anoressia, ben documentata anche in altre epoche. “Così come non tutti sviluppano un disturbo post-traumatico dopo un evento stressante – conclude Dell’Osso – allo stesso modo, non tutti reagiscono agli stimoli ambientali con una patologia alimentare. Serve maggiore consapevolezza sui fattori di vulnerabilità individuale, per garantire diagnosi precoci e trattamenti più efficaci”.
Il dati in Italia: 540mila casi di anoressia
Sono oltre 3 milioni le persone che in Italia presentano un disturbo del comportamento alimentare:a anoressia, bulimia e binge eating disorder. Solo l’anoressia nervosa colpisce circa l’1 per cento della popolazione, con oltre 540mila casi, di cui il 90 per cento donne.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, l’età di insorgenza più frequente è tra i 15 e i 25 anni, ma i casi tra i minori sono in aumento (nuove diagnosi di disturbi alimentari al + 40 per cento nel primo semestre 2020 rispetto all’anno precedente). Il quadro è preoccupante anche in Europa: la prevalenza nei bambini raggiunge il 2 per cento, la più alta a livello globale.
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