Salgono i numeri dei pati cesarei in Italia. Secondo il ginecologo Claudio Giorlandino è un approccio più prudente e responsabile: una vera e propria garanzia di sicurezza per la mamma e il suo piccolo
di Emma Liorni
In Italia si registra una crescita dei parti cesarei. L’aumento dell’età materna, la maggiore incidenza di gravidanze complesse, l’evoluzione delle tecniche diagnostiche e la più forte attenzione alla tutela del nascituro hanno contribuito, negli anni, a un aumento del ricorso alla chirurgia ostetrica. “Non un fallimento della medicina naturale, bensì il frutto di un approccio più prudente, più umano, più responsabile. In Italia nascono meno neonati cerebrolesi proprio grazie a un uso consapevole del cesareo: i cesarei rappresentano il 36 per cento delle nascite, l’incidenza di neonati con paralisi cerebrale da parto scende sotto lo 0,5 per mille”. È quanto afferma Claudio Giorlandino, ginecologo, direttore scientifico dell’Istituto di Ricerche Altamedica.
La realtà clinica
fetale, sofferenza fetale acuta, distacco intempestivo di placenta, prolasso di funicolo, crisi eclamptica”.
Cosa succede in Europa
Il confronto con altri Paesi europei è significativo. “Nel Regno Unito, dove il tasso di tagli cesarei si ferma al 21 per cento, si registrano circa due casi ogni 1.000 di neonati con paralisi cerebrale da parto. In Italia, dove i cesarei rappresentano il 36 per cento delle nascite, questa incidenza scende sotto lo 0,5 per mille. Un dato che, da solo, dovrebbe indurre a riflettere sulla correlazione tra scelta chirurgica e prevenzione del danno neurologico – sottolinea ancora l’esperto -. Dove i parti avvengono in strutture a bassa medicalizzazione, l’incidenza di traumi cerebrali neonatali aumenta drammaticamente. A testimoniarlo non sono solo gli studi clinici, ma anche l’elevatissimo contenzioso medico-legale che si registra proprio in quei contesti. Il taglio cesareo, in questi casi, non è un lusso: è uno strumento fondamentale per evitare tragedie“.
Cosa dicono davvero i dati
Per l’Organizzazione mondiale della sanità il tasso ideale di tagli cesarei è però fissato al 15%. “Un valore privo di validazione scientifica, risalente alla Joint Interregional Conference on Appropriate Technology for Birth del 1985, in cui si osservò che in alcuni Paesi con bassa mortalità perinatale i cesarei non superavano il 15%. Ma il dato si rivelò presto viziato da un’errata interpretazione. In quelle nazioni, infatti, il numero contenuto di tagli cesarei non derivava da migliori condizioni cliniche, bensì da una carenza di personale qualificato per eseguire l’intervento. Oggi, grazie al progetto europeo Peristat (Monitoring and Evaluating Perinatal Health) si sta finalmente lavorando con dati incrociati, solidi, comparabili, Ed emerge con chiarezza che non esiste una percentuale giusta a priori, ma solo la necessità di adattare la pratica ostetrica al contesto clinico. Ridurre i cesarei in nome di un numero fittizio – conclude Giorlandino – significa aumentare i rischi”.