L’intervista. Quando al parto l’ostetrica è maschio: la storia di Andrea Caronna

A Mamme Magazine la storia di un uomo che quando è diventato papà ha iniziato un percorso di studio per diventare ostretico in un mondo quasi esclusivamente al femminile

di Manuela Vacca

È l’unico studente di sesso maschile, in una classe di 24 donne, al terzo anno della Triennale di Ostetricia dell’Università Vita – Salute San Raffaele. “Non è una tipicità della professione di avere uomini all’interno: siamo pochini. E sono l’unico al San Raffaele”, racconta a Mamme Magazine Andrea Caronna, osteopata di 37 anni che ha deciso di diventare ostetrico.

Si definisce “un uomo grosso che gira con gli zoccoli rosa tra le corsie” ed è intenzionato a restituire, almeno in parte con il proprio supporto,  le fatiche delle mamme per dare la vita. Ride quando gli si chiede se anche della propria, visto che ha messo al mondo un bel pupo grande. È motivato, vive di pensieri stupendi. Benvenuti gli uomini che si prendono cura delle donne per davvero. “Nel mio lavoro avevo già avuto modo di lavorare con donne in preparazione del parto e di supportarle per piccoli disturbi, ma non avevo mai pensato a spingermi più in là come ostetrico”, prosegue. In effetti non se ne vedono tanti in giro. Sinora, nel suo cammino i formazione, ne ha incontrato sinora solo altri tre ostetrici. “In Italia dovremo essere sui 200”, dice.

La professione è aperta a entrambi i sessi ma sono pochi gli uomini a intraprendere questa carriera, che è tradizionalmente femminile. Perché ha scelto questo percorso?

“La gravidanza delle mie amiche e delle altre donne mi ha sempre affascinato. Però è stata la nascita di mia figlia nel novembre del 2021 a cambiarmi: ho assistito al parto e ho scoperto che la gravidanza è qualcosa di magico, di potente. Da allora è sbocciato questo profondo amore e la mia compagna mi ha sostenuto quando ho deciso di iscrivermi al corso di laurea”.

Cosa ha provato vedendo sua figlia entrare in questo mondo?

“Il tempo si dilata. L’unica certezza è la vicinanza e la complicità tra me e la mia compagna: essere là insieme. Forse, per la prima volta, ero spaesato, preso quasi in contropiede. Non mi aspettavo quello stato confusionale eppure così coinvolgente”.

Durante il parto è stata di grande importanza la presenza delle ostetriche del turno di giorno e di notte.

“Abbiamo trovato in loro un punto di riferimento: ci sono state molto vicine nei momenti in cui vedi la tua compagna soffrire e i tempi a rilento, anche se sono in realtà normali. Quelle ostetriche sono state figure fondamentali: due professioniste che mi hanno dato alla voglia di prendermi sempre cura della persona”.

Prima parlava della sua compagna: anche lei è stata cruciale nella nuova direzione di vita?

“Ero perso a vivere i primi giorni di genitorialità ma è stata la mia compagna a chiedermi: «Non ti metteresti di nuovo a studiare, sei sempre stato appassionato di medicina e scienza». Poi ho saputo del test di ingresso all’Università San Raffaele di un corso di laurea fresco, ben strutturato. All’inizio avevo dubbi per l’età e la competizione con chi era appena uscito dal liceo, mentre avevo già finito da tempo di studiare e avevo il mio lavoro. È stata lei a spingermi a fare il test di ingresso. Ho superato e si è aperta una via davanti a me. Il mio obiettivo è di fare l’ostetrico in sala parto”.

In questo percorso di studio quanti bimbi e bimbe ha aiutato a nascere?

“Ho iniziato il primo anno a ottobre 2022 e a fine gennaio 2023 ero già al primo tirocinio in sala parto. Anche qui ho trovato un’ottima professionista che si spende tantissimo per un’esperienza indimenticabile. Mi ha caricato ancora di più e fatto immergere nella mia pratica. Da allora sono 31 bambini”.

Ogni parto è diverso?

“Assolutamente, perché è diversa ogni coppia e ogni parto è stato differente. Alcuni si portano dietro qualcosa di singolare: la playlist musicale, per esempio. Una volta una coppia di ragazzi appena trasferiti dall’estero si sono voluti collegare in vivavoce con chi aveva seguito la gravidanza in Messico. Questa telefonata intercontinentale è stata qualcosa di bellissimo e interessantissimo. In generale è sempre piacevole assistere a questi momenti. Il comune denominatore è il dolore ma può anche dare un sacco di forza a chi lo vive e dà una visione diversa alla parte maschile che assiste al sacrificio femminile”.

E chi assiste cosa prova?

“Tu sei uomo e non puoi capire, mi è stato detto. Ma stare affianco nel momento del travaglio aiuta e determina in qualche modo un ammorbidimento dell’esperienza dolorosa, che si cerca di limitare il più possibile. Ricordo la prima partoriente nella mia prima notte del tirocinio. La tutor ha riempito un guanto di acqua calda, lo ha appoggiato sul ventre e nel frattempo le massaggiava la schiena. Si è inventata qualcosa per dare sollievo alla signora. Un’immagine bellissima di cura e dedizione: sono rimasto folgorato”.

E le partorienti come reagiscono trovandosi davanti un ostetrico?

“Me lo hanno chiesto in tanti. In sala parto c’è esigenza di aiuto e supporto ed ero più timoroso rispetto a certi credi religiosi ma non ho mai riscontrato problemi. Inoltre già i ginecologi in gran parte sono uomini. Il mio corso di laurea permette di girare in tantissimi ambienti e anche nei consultori. L’unico momento in cui mi sono trovato davanti una persona particolarmente titubante è stato il reparto di ginecologia. La figura di un uomo che disinfetta quella ferita crea titubanza e allora ho fatto un passo indietro. Invece mai alcun problema in sala parto: sinora non ho mai riscontrato criticità”.

Che consigli dà alle future ostetriche e agli ostetrici di domani?

“Di crederci, innanzi tutto. A più riprese ci sono cose che ti fanno ripensare a quello che stai facendo perché non trovi solo belle persone in un ambiente di lavoro. Di certo da quasi quarantenne io rielaboro in maniera diversa, per un ventenne magari è più difficile. È fondamentale essere determinati e vale la pena investire tempo anche in altri reparti oltre quelli specifici del corso di laurea. Va bene studiare ed essere preparati ma occorre inoltre fare una ricerca di sé stessi per l’empatia”.

 

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