Quasi il 40 per cento dei lavoratori del sistema produttivo culturale e creativo è fatto da donne. Santa Nastro ha scritto un libro sulle mamme che lavorano nel campo artistico, un mondo dove si lavora nel tempo libero degli altri che che implica sforzi familiari ed economici non indifferenti. E parla del nuovo sguardo sulla realtà
di Manuela Vacca
Tra le tante novità sullo scaffale non può passare inosservata l’ultima fatica della critica d’arte e giornalista Santa Nastro, vicedirettrice di Artribune. Si intitola “Mamme nell’arte” ed è uscita a fine aprile con Castelvecchi. Il volume è stato pubblicato nella collana Fuoriuscita, diretta da Christian Caliandro e rivolta a un pubblico di specialisti e appassionati per consegn
“Mamme nell’arte” è un libro sul lavoro, per usare le parole dell’autrice che, sempre con l’editore romano, aveva pubblicato nel 2022 anche “Come vivono gli artisti? Vita, economia, rapporto con il settore e pratica”. Per la precisione Santa Nastro conduce una personale indagine sul lavoro femminile nel campo artistico e cosa succede con una maternità. Scrive Caroline Corbetta nella prefazione, “conosciamo donne diventate madri che dopo avere cambiato radicalmente la propria esistenza – una delle più grosse bugie è che la vita dopo i figli ritorni com’era prima – possono diventare agenti di un cambiamento collettivo in una società ancora soggiogata dal mito della produttività”. Il libro nasce dall’esperienza personale dell’autrice, che si è domandata come le operatrici del settore avevano affrontato questo momento delle loro vite.
Nella prefazione Caroline Corbetta cita una frase dell’artista britannica Tracey Emin: «Ci sono dei buoni artisti che hanno figli. Certo che ci sono. Si chiamano uomini». Dalle interviste emerge invece che la maternità influisce anche positivamente sul lavoro. Quali sono gli esempi più significativi che ha potuto raccogliere?
“La storia per fortuna è piena di grandi artiste con figli e senza figli, laddove la maternità se intesa in senso lato può essere percepita anche come gesto di cura, amore, condivisione. Maternità anche di animali, collettività, progetti, opere: per dirla con Alighiero Boetti, quella tensione a «Mettere al mondo il mondo». Ma tornando alle grandi artiste madri, ne posso citare parecchie. In primis una artista monumentale come Antonietta Raphaël, madre di tre ragazze, poi grandi donne della cultura italiana Miriam, Giulia, Simona Mafai. Alla Raphaël, che ha peraltro anche ritratto la maternità in maniera impressionante, molta storia dell’arte è debitrice. Andando ancora più indietro nella storia c’è la grande pittrice impressionista Berthe Morisot, che ha peraltro introdotto tra i suoi temi quello del ritratto della paternità, dipingendo suo marito nell’atto di prendersi cura della figlia Julie. E tornando ai nostri giorni ci sono, restando solo in Italia, artiste meravigliose come Gaia Scaramella, come The Glorious Mothers (rete di artiste madri che comprende Sara Basta, Cristina Cusani, Mariana Ferratto, Francesca Grossi, Vera Maglioni, Giulia Iacolutti, Caterina Pecchioli, Lorena Peris, Dafne Salis, Miriam Secco), Eugenia Vanni, Eva Frapiccini, Laura Perilli, Egle Oddo, Francesca Grilli. E poi andare avanti ancora per molto”.
“La buona notizia è che la maggior parte delle professioniste intervistate parla di una gestione cogenitoriale della famiglia. È chiaro che 30-32 persone non possono offrire un campione esaustivo della questione, ma fanno ben sperare. In generale però siamo tutte convinte del fatto che ci sia ancora molto da fare in questo senso, soprattutto per quanto riguarda l’impegno del settore nel raggiungere una reale parità di genere. Il rapporto Symbola 2024 riporta che il 39,5 per cento dei lavoratori del sistema produttivo culturale e creativo è composto da donne. Ma quante sono realmente nei centri di potere? Le quotazioni delle opere degli artisti uomini sono equivalenti a quelle delle artiste donne? I dati ci dicono ancora di no. E quante donne hanno dovuto riconfigurarsi dopo la maternità o rimodulare il proprio lavoro perché il welfare a sostenerle non è sufficiente? Questo non vale ovviamente solo per l’arte e la cultura, ma per tutte le professioni. È vero però che il settore culturale ha delle specificità che richiedono una attenta analisi. Molti dei momenti di lavoro determinanti per lo sviluppo della carriera e di nuovi progetti si svolgono in orari non coperti dalla scuola (serali, week end), in quanto industria dell’entertainment si lavora nel tempo libero degli altri, questo implica sforzi familiari ed economici non indifferenti. La produzione di un’opera, nel caso delle artiste, non si realizza negli stessi tempi di un bene di consumo, e così via. Andrebbe dunque pensato, rielaborato e costruito un sistema di protezione che riconosca queste caratteristiche del lavoro culturale (i rischi) come si fa per tutte le altre professioni. C’è chi ci sta lavorando come il gruppo Awi – Art Workers Italia, ma credo che la strada sia ancora lunga”.
Tra le emozioni che salgono a galla quando si vive la maternità c’è la riscoperta della tenerezza. In base alla sua esperienza, sul piano lavorativo, questa tenerezza può essere un punto di forza e quali altri sentimenti bisogna tirare fuori?
“Il nostro è un lavoro che ha a che vedere con l’essere umano, la sua profondità, le sue complicazioni, le urgenze e le sfide che lo riguardano, ma anche la sua evoluzione come individuo e collettività, nella relazione con il cosmo e con l’ambiente. È un lavoro che dovrebbe guardare al cambiamento, a migliorarci, a farci e fare crescere. Dunque, la tenerezza, per i bimbi, per sé stessi e per il mondo, l’empatia, ma anche il desiderio di generare piccole e grandi rivoluzioni, la volontà anche ferrea di portare avanti trasformazioni sociali per costruire un humus più giusto in cui vivere la nostra vita e far vivere i nostri figli, la ricerca della verità sono sentimenti fondamentali in un lavoro come questo, ma anche impulsi che auspico possano permeare nuovamente l’atmosfera che ci circonda la quale, ahimè, di dolcezza ne manifesta ben poca”.
Il volume nasce dall’essere diventata mamma. Come si concilia il tempo della famiglia con quello del critico d’arte e quale consiglio darebbe a una collega in dolce attesa?
“Ho imparato a vivere diversamente i tre tempi che l’esperienza della maternità e del lavoro insieme impongono. C’è il tempo del bambino, che è un tempo lentissimo e della scoperta. Un tempo che ti fa vedere quanto un fiore o una scatola possano nascondere mondi meravigliosi e inattesi che noi non conoscevamo più. Ti richiede tanta pazienza, di abdicare dallo stress della vita quotidiana, di navigare e coccolare l’imprevisto, di non rispettare degli orari e dei programmi ben definiti. Poi c’è il tempo della mamma (e se le cose funzionano bene anche del co-genitore, quando presente) che è come una montagna russa fatta di corse, lavoro, pasti da preparare, call, riunioni, meeting, vestiti da stirare, cose da pensare, tempo libero personale e/o di coppia da salvaguardare, cura di sé, tutto compresso nelle ore in cui il bambino è a scuola o magari quando dorme. Su questo si innesta il tempo dello studio, della ricerca, del pensiero, della scrittura che viaggia su una velocità ancora differente e che va allo stesso tempo compresa ed accudita. La vera sfida è contemplare tutti questi tempi e farli andare d’accordo, come in un percorso multidimensionale e non sempre di facile gestione. Allo stesso tempo però si tratta di un momento pieno di creatività e che offre uno sguardo inedito sulla realtà; pertanto, ad una collega in dolce attesa consiglierei di non farsi spaventare da chi le lascia percepire solo gli ostacoli e di farsi trasportare dalle acque talvolta dolci, talvolta tumultuose di quello che sarà un viaggio indimenticabile, dal quale, ne sono sicura, avrà effetti positivi anche il lavoro”.
La scheda
Titolo: “Mamme dell’arte”
Autrice: Santa Nastro
Editore: Castelvecchi
Collana: Fuoriuscita
Pagine: 228 pagine
Prezzo: 20,90 euro
In commercio dal: 30 aprile 2025