Allarme scabbia, boom di casi in Italia: torna la malattia associata ai Paesi in via di sviluppo

In tre anni, secondo recenti studi recenti, l’aumento dei casi in alcune realtà italiane arriva al 750 per cento. La fascia più colpita è quella dei giovani tra i 5 e i 18 anni e degli anziani. Tra le cause: lockdown, sovraffollamento, turismo di massa e una preoccupante resistenza ai farmaci. L’invito degli esperti della Sidemast a non sottostimare il fenomeno

di Redazione Mamme Magazine

 

Sembrava una malattia superata, legata a condizioni si povertà e scarsa igiene, e invece è boom di casi in Italia e in Europa tra Rsa, scuole, ospedali e famiglie numerose visto che, nella quasi totalità degli episodi, ha un contagio interumano. La scabbia è tornata. Si tratta di un’infestazione della pelle causata dall’acaro Sarcoptes scabiei, minuscolo parassita che scava cunicoli nella pelle per deporre le uova e così provoca un intenso prurito, specialmente notturno, oltre che la comparsa di piccole papule soprattutto su mani, piedi e genitali.

Non bisogna sottovalutare questi segnali e occorre intervenire per tempo: è l’invito degli esperti della Sidemast, la Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmesse, che a Roma si riuniranno in congresso nazionale nell’ambito del XIV International Congress of Dermatology, dal 18 al 21 giugno.

I numeri: fino al 750% in alcune realtà italiane

L’aumento di casi è seriamente preoccupante in numerose regioni italiane ma ancora mancano dati precisi su larga scala e il fenomeno resta sottostimato. Due lavori sulle regioni Emilia-Romagna e Lazio, restituiscono numeri critici sull’espansione del fenomeno. Tra il 2020 e il 2023 i casi di scabbia sono vertiginosamente cresciuti nella città di Bologna, mostra la recente analisi pubblicata su Sexually Transmitted Infections. È stato lanciato l’allarme per una nuova ondata di casi post-Covid nella regione Lazio, definita una “emergente minaccia di salute pubblica” (studio apparso su Infectious Diseases of Poverty), con un aumento marcato nelle strutture di lungodegenza: addirittura un 750 per cento di focolai tra il 2020 e il 2023.

Le cause dell’esplosione di casi

L’esplosione di casi è stato favorito dal lockdown e dall’isolamento, spesso in condizioni igienico-sanitarie precarie, quindi dal turismo di massa con l’impennata di viaggi post-pandemia Covid, che hanno facilitato la diffusione in ambienti condivisi come hotel, campeggi e ostelli. A ciò si aggiunge il turnover negli ospedali e la resistenza ai farmaci. Lo spiega Michela Magnano, membro Sidemast e dirigente medico all’Uoc di Dermatologia dell’Ospedale Versilia di Lido di Camaiore (Lu): “Durante la pandemia, molte persone hanno vissuto a lungo in ambienti chiusi e sovraffollati, condizioni ideali per la trasmissione del parassita e anche il frequente ricambio di pazienti nelle strutture sanitarie ha favorito il contagio. Ma pare avere giocato un ruolo importante anche una ‘possibile’ resistenza ai farmaci: in particolare alla permetrina, il trattamento topico fino a poco tempo fa più utilizzato nel nostro Paese”.

La preoccupante resistenza al farmaco

I primi segnali di resistenza dell’acaro alla permetrina sono arrivati dalla Germania nel 2017-2018, ma ora i casi sono documentati anche in Italia, Spagna, Turchia e Regno Unito. “I fallimenti alla permetrina – prosegue la dottoressa Magnano – sembrerebbero poter essere attribuiti a un’effettiva resistenza alla terapia, dato che i trattamenti topici utilizzati in seconda linea (come il benzoato di benzile) sono stati efficaci, escludendo pertanto fattori legati alla non corretta applicazione della crema. Tuttavia, se si stia effettivamente assistendo a una vera e propria resistenza a tale principio attivo, o quantomeno a una ‘tolleranza’ al trattamento, è ancora dibattuto. Esistono lavori che dimostrerebbero come alterazioni enzimatiche e proteiche dell’acaro possano mediare tali meccanismi di resistenza”.

Secondo l’esperta ci potrebbero essere anche altre cause alla base del fallimento delle terapie, “come l’uso non corretto della terapia topica od orale in termini di quantità di principio attivo e/o modalità e/o tempi di somministrazioni, la mancata o errata messa in atto di misure igienico-ambientali e le reinfestazioni dovute al mancato trattamento dei contatti stretti. Di certo, allo stato attuale, è indispensabile in caso di prurito persistente soprattutto notturno, escludere la diagnosi di scabbia. Se invece la diagnosi fosse confermata, è opportuno iniziare tempestivamente una terapia adeguata, tenendo conto dell’attuale ed evidente scarsa risposta alla permetrina, ma anche trattare tutti i possibili contatti stretti”.

Le fasce a maggiore rischio e i sintomo principale

Il presidente Sidemast Giuseppe Argenziano avverte: “Le categorie più vulnerabili sono sicuramente bambini e adolescenti tra i 5 e i 18 anni, anche a causa della frequentazione di ambienti comunitari come scuole e palestre. A questi si aggiungono gli anziani, in particolar modo quelli ricoverati nelle Rsa e persone con fragilità sociali o sanitarie. Tra questi i senzatetto, i migranti e chi vive in condizioni di sovraffollamento o precarie condizioni igieniche”.  Il sintomo principale è un prurito intenso e persistente, spesso più accentuato durante la notte: “Se associato a piccole papule o a lesioni cutanee tra le dita, ai polsi, all’ombelico o ai genitali, può trattarsi di scabbia”.

Che cosa fare

Per i dermatologi della Sidemast sono quattro le indicazioni da seguire:

1. Consultare subito il medico o un dermatologo in caso di prurito persistente in più membri dello stesso nucleo familiare e/o prurito non responsivo alle terapie.
2. No al “fai da te”: una diagnosi errata può prolungare l’infestazione e facilitare il contagio.
3. In caso di diagnosi accertata di scabbia, trattare tutti i contatti stretti, seppure asintomatici.
4. Lavare ad alta temperatura gli indumenti e le lenzuola.

Foto: Pixabay

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