Uno studio ha rivelato quanto i cibi ultraprocessati diventino irresistibili boccone dopo boccone. Ecco perché e cosa fare. A Mamme Magazine ne parla l’esperto
di Angelica Amodei
Un nuovo studio conferma ciò che molti sospettavano: i cibi ultraprocessati non sono solo golosi, ma ingegnerizzati per creare dipendenza. Sono capaci di innescare nel cervello comportamenti che rispecchiano quelli associati alle dipendenze da sostanze. Dalla perdita di controllo al desiderio continuo, fino al consumo compulsivo, questi alimenti attivano circuiti neurochimici che rendono difficile resistere. Lo rivela un nuovo studio, pubblicato su Nature Medicine, che ha analizzato quasi 300 ricerche condotte in 36 Paesi e ha concluso che gli alimenti ultraprocessati possono attivare nel cervello gli stessi circuiti della dipendenza da sostanze.

Gli alimenti ultraprocessati sono progettati per rilasciare dopamina in modo rapido, intenso e continuo. “Proprio così. Questo rilascio ripetuto crea una sensazione di piacere immediato, ma serve sempre un po’ di più per provare la stessa soddisfazione. Così il cervello continua a chiedere quel cibo anche quando non c’è una reale fame e così nasce il craving: il pensiero fisso e il consumo compulsivo. Non è una questione di forza di volontà, ma di neurochimica pura”.
Il ruolo delle confezioni: la conquista inizia dagli occhi
La dipendenza non parte soltanto dal gusto, ma molto prima: dallo scaffale. “Prima di arrivare alla bocca”, spiega lo psicologo “il cibo ultraprocessato conquista gli occhi. Le aziende conoscono i segreti della psicologia visiva: colori caldi e saturi che stimolano l’appetito e sono collegati a emozioni positive, mascotte o personaggi dei cartoni animati per attirare i bambini, immagini grandi e accattivanti, mentre le informazioni nutrizionali sono scritte in piccolo”.
C’è poi il posizionamento strategico nei supermercati: “I prodotti per bambini si trovano in basso, alla loro altezza, o in zone di passaggio obbligato come le casse, dove il genitore ha fretta e il bambino fa i capricci. È più facile che finiscano nel carrello. Il supermercato può diventare un vero e proprio campo minato: conoscere la mappa di questi meccanismi sottili è l’unico modo per non rimanere intrappolati”.
Gli ingredienti della dipendenza: il “bliss point”
“Il cuore della dipendenza alimentare”, spiega Sabatti “è la ricerca del cosiddetto bliss point, il punto di beatitudine: un equilibrio chimico perfetto tra zuccheri, grassi e sale, calibrato per massimizzare il piacere di quel cibo”. A questa miscela si aggiungono esaltatori di sapidità come il glutammato monosodico, aromi artificiali che ingannano il cervello facendogli percepire sensazioni di freschezza o tostatura inesistenti, e persino stimoli legati al suono, come le patatine.
“Pensiamo alla croccantezza di certi snack: anche se il sapore è lo stesso, una patatina che ha perso la croccantezza non dà lo stesso piacere”. Il meccanismo è progressivo nel tempo: “Come dire, che primo boccone è piacere, il secondo è condizionamento, il terzo diventa automatismo. E quando si arriva all’automatismo, siamo davanti a una vera e propria dipendenza”.
Il rischio dell’autocolpevolizzazione
Uno degli inganni più sottili è che il nostro cervello tende a costruire narrazioni complesse per dare un senso ai nostri comportamenti. “A volte”, sottolinea lo psicologo “una persona si colpevolizza, pensando di essere debole, di avere traumi irrisolti o di essere incapace di controllarsi. In realtà, spesso alla base c’è esclusivamente un legame chimico. Il rischio è cercare spiegazioni lontane quando la causa è evidente. Come diceva Oscar Wilde: ‘Non cercare l’oscuro quando c’è quello che si vede’”.
Come proteggere i figli
Questo vale soprattutto per i bambini e i ragazzi. “I genitori dovrebbero tenere a mente”, conclude lo psicologo “che la ricerca smodata di certi cibi spesso dipende anche da una questione chimica. Per contrastare la dipendenza meglio offrire gradualmente alternative più sane ma altrettanto gustose, magari coinvolgendo i figli nella preparazione in cucina”.
Foto: Pixabay
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