A confermarlo è un nuovo studio pubblicato su Nature Medicine da un team di scienziati dell’Università del Michigan.
di Angelica Amodei
I cibi ultra-processati non solo danneggiano la salute fisica, ma possono anche generare veri e propri comportamenti di dipendenza, simili a quelli provocati da sostanze come alcol o cocaina. A confermarlo è un nuovo studio pubblicato su Nature Medicine da un team di scienziati dell’Università del Michigan. I ricercatori hanno analizzato i risultati di quasi 300 studi condotti in 36 Paesi, giungendo alla conclusione che questi alimenti industriali possono alterare il sistema di ricompensa del cervello, stimolando il rilascio di dopamina e innescando desiderio, perdita di controllo e consumo compulsivo: tutti tratti caratteristici delle dipendenze.
Quali sono i prodotti
Tra i prodotti incriminati troviamo dolci confezionati, patatine, cereali da colazione, snack salati e piatti pronti. Grazie a tecniche di neuroimaging, gli studiosi hanno osservato che i cervelli di chi consuma in modo compulsivo questi alimenti mostrano alterazioni simili a quelle riscontrate in chi è dipendente da sostanze stupefacenti. “Le persone non sviluppano una dipendenza da cibi naturali come le mele o il riso integrale”, ha spiegato Ashley Gearhardt, docente di psicologia all’Università del Michigan e primo autore dello studio. “La vera sfida è rappresentata da alimenti ultra-processati, progettati per colpire il cervello in modo rapido, intenso e ripetuto. Proprio come una droga”.
L’appello: affrontare il problema
Nonostante l’evidenza crescente, la dipendenza da cibo ultra-processato non è ancora ufficialmente riconosciuta come disturbo. Gli autori dello studio lanciano un appello ai medici, ai decisori politici e alle autorità sanitarie affinché affrontino con urgenza il problema. “In altri contesti, sono bastate prove meno robuste per riconoscere una forma di dipendenza”, ha detto Erica LaFata, coautrice dello studio e ricercatrice presso il Center for Weight, Eating, and Lifestyle Science della Drexel University.
Chi è più a rischio?
Un precedente sondaggio condotto dall’Università del Michigan sul tema ‘invecchiare bene’ ha rivelato che il 13% degli adulti americani tra i 50 e gli 80 anni fatica a rinunciare a questi cibi. I sintomi riferiti comprendevano desideri impellenti, tentativi falliti di ridurre il consumo e manifestazioni tipiche dell’astinenza come irritabilità, mal di testa e difficoltà a concentrarsi.
Foto: Pixabay

