Il professor Claudio Giorlandino fa il punto su una nuova ricerca sul disturbo dello spettro autistico
di Angelica Amodei
Uno studio dell’Istituto di Ricerca Altamedica, pubblicato sulla rivista internazionale Brain and Behavior, propone un possibile cambio di paradigma nella valutazione del rischio di Disturbo dello Spettro Autistico (DSA). La ricerca indica che un marcato aumento della translucenza nucale (TN) nel feto – quando non sono presenti anomalie genetiche note – potrebbe rappresentare il primo segnale ecografico di un’alterazione immunitaria materna legata a una carenza funzionale di folati. La translucenza nucale, che misura lo spessore del liquido dietro la nuca del feto nel primo trimestre, è storicamente utilizzata come indicatore precoce di sindromi cromosomiche, come la Sindrome di Down.
La ricerca
Nello studio, sono state analizzate 3.600 ecografie del primo trimestre, concentrandosi sui 27 feti con TN significativamente aumentata (≥ 3,5 mm). Dopo aver escluso anomalie cromosomiche e genetiche in 16 casi attraverso villocentesi, amniocentesi, cariotipo e array-CGH, l’attenzione dei ricercatori si è focalizzata sugli 11 feti con TN molto elevata ma con risultato genetico negativo.
In queste 11 gravidanze è stata valutata la presenza, nelle madri, degli autoanticorpi anti-recettore alfa del folato (FRAA), proteine in grado di ostacolare l’assorbimento dei folati (vitamina B9), essenziali per il corretto sviluppo neurologico. Quattro madri su undici sono risultate positive ai FRAA e tutti i loro bambini (4 su 4) hanno ricevuto una diagnosi di DSA tra i 2 e i 3 anni. Tra le sette madri negative agli autoanticorpi, solo un bambino (14,3%) ha successivamente sviluppato autismo.
Le evidenze
Si tratta del primo studio al mondo a evidenziare un’associazione diretta tra translucenza nucale marcatamente aumentata, assenza di anomalie genetiche fetali, presenza di FRAA materni e diagnosi di autismo in tutti i casi osservati all’interno di questo gruppo. “Questo studio, pur essendo preliminare, ci suggerisce che una translucenza nucale molto elevata non è soltanto un potenziale indicatore di anomalie genetiche, ma potrebbe rappresentare la prima spia ecografica di un problema immunitario materno che ostacola il corretto apporto di folati al cervello fetale. È uno scenario completamente nuovo: non solo identificare un rischio, ma anche ipotizzare interventi preventivi”, commenta il professor Claudio Giorlandino, Direttore Scientifico dell’Istituto di Ricerca Altamedica.
Gli autori propongono che, in presenza di translucenza nucale marcatamente aumentata e test genetici negativi, la valutazione degli autoanticorpi anti-recettore del folato nella madre possa diventare un test complementare di grande utilità nella diagnosi prenatale.
“Identificare precocemente questi autoanticorpi permette di considerare interventi mirati. Studi precedenti, pubblicati su Clinical and Translational Neuroscience, indicano che una profilassi con alte dosi di acido folinico – una forma attiva del folato – potrebbe favorire la protezione dello sviluppo cerebrale fetale. Questa ipotesi è ora in fase di verifica attraverso ampi studi clinici controllati, come il FraFol RCT Study dell’Altamedica”, conclude l’esperto.

