Ai bambini sempre attaccati alle gonne della mamma occorre un aiuto in direzione dell’autoefficacia. Ne parliamo con lo psicologo Efrem Sabatti
di Angelica Amodei
Alle feste, all’asilo o anche solo in cortile, molti genitori si trovano davanti a questa scena: il bambino resta aggrappato, timoroso di esplorare, di relazionarsi con gli altri. Non è pigrizia o capriccio: è la naturale difficoltà di mettersi in gioco e di sentirsi sicuri di sé. Lo psicologo Efrem Sabatti ci spiega come aiutare i bambini a sviluppare autostima e autoefficacia. Spesso il genitore per amore rischia di essere iperprotettivo. Vediamo come fare:

Molte mamme mi chiedono: “Come posso dare autostima a mio figlio?” Qui c’è già un paradosso di fondo: l’autostima, infatti, è quell’idea positiva di sé che nasce da dentro, non dal fatto che gli altri ci stimino. Tuttavia, esiste un punto di partenza utile: l’autostima è strettamente legata al concetto di autoefficacia, ossia la capacità di sentirsi competenti in qualcosa.
Se ci pensiamo, stimiamo noi stessi in base a quanto ci sentiamo capaci in una determinata situazione: io, ad esempio, ho una buona stima di me come cuoco, ma una pessima stima come ballerino, perché nella prima attività mi sento capace e nella seconda no.
Come aiutare il bambino nell’autoefficacia
L’autoefficacia si sviluppa quando il bambino si mette alla prova e sperimenta il suo potenziale. Questo significa che i genitori possono favorire lo sviluppo dell’autoefficacia creando piccole sfide calibrate per i propri figli.
Se il genitore è eccessivamente iperprotettivo
Tra i vari stili genitoriali, uno dei più comuni è quello iperprotettivo. In questo caso, il genitore vuole proteggere il figlio da ogni pericolo e difficoltà della vita, spesso combattendo le battaglie al posto suo. Questo comportamento, pur essendo mosso dall’amore, può avere effetti ambivalenti: da un lato mostra affetto, dall’altro può svalutare la capacità del bambino, aumentando in lui ansia e bisogno di dipendere dagli altri.
È come dire: “Ti aiuto perché ti voglio bene… ma anche perché non credo che tu sia capace da solo”. In realtà, il ruolo del genitore deve evolvere parallelamente alla crescita del figlio, attraversando tre fasi fondamentali:
Fare al posto del figlio – è la fase della completa protezione.
Fare insieme al figlio – è la fase protettiva, in cui il genitore accompagna e sostiene.
Far fare al figlio – è la fase in cui il bambino sperimenta il proprio potenziale e sviluppa consapevolezza delle proprie capacità.
Strategie pratiche per sviluppare l’autoefficacia
1. Micro-obiettivi quotidiani:
Creare ogni giorno una piccola sfida superabile. Non chiedere subito al bambino di buttarsi nella mischia di una festa, ma assegnare compiti concreti e semplici: salutare un compagno all’ingresso, aiutare un altro bambino a raccogliere un gioco. Questi piccoli successi gli permettono di sentirsi capace e di sperimentare gratificazione, anche attraverso il riconoscimento degli altri: “Grazie per aver aiutato Ciro!”.
2. Fare insieme, poi lasciar fare:
Se il bambino ha paura di partecipare al gioco con gli altri, il genitore può inizialmente affiancarlo, osservando e supportando. La presenza iniziale funge da ponte, ma alla fine è il bambino che deve continuare a “pedalare da solo”.
3. Rinforzare e premiare il tentativo:
È fondamentale lodare il coraggio e l’impegno, non solo il risultato. Ad esempio: “Sono contento che rispetto all’altra volta hai parlato con quel bambino. Sei stato più gentile e coraggioso”. In questo modo il bambino impara che il valore sta nel provare e nell’impegnarsi, non solo nel riuscire.
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