La felicità? Si coltiva a scuola con i ragazzi della “classe più felice d’Italia”

Per il secondo anno ad aggiudicarsi il premio è una scuola di Voghera. A Mamme Magazine l’intervista con le docenti che hanno guidato nella progettazione

di Manuela Vacca

 

Nella foto scattata nel giardino della scuola di Voghera i ragazzi sorridono in pienezza come accade nei giorni più belli della propria vita. Questa è la classe più felice di Italia. Perché? Gli alunni della 2ACH dell’Istituto tecnico agrario Carlo Gallini hanno seminato e raccolto felicità nella propria comunità con un progetto fatto di gesti concreti di solidarietà, cura e inclusione.

Per il secondo anno consecutivo, infatti, gli studenti della scuola hanno vinto il primo posto al concorso nazionale “La classe più felice d’Italia”, promosso dalla Fondazione della Felicità di Walter Rolfo. E non è tutto: un’altra classe, la 4ABA, si è aggiudicata il terzo posto.

Le attività

Gli alunni e le alunne, con l’ottima guida di Elisabetta Bersani, docente di Arte, e delle docenti di Matematica Simona Lugano ed Erica Prevadini, hanno svolto delle attività in orario non scolastico. E lo hanno fatto con grande generosità. A iniziare dall’aiuto alla Caritas diocesana nella preparazione di pacchi alimentari a famiglie bisognose. Poi hanno passato del tempo con gli anziani ospiti della residenza San Fortunato, giocato con i piccoli della scuola dell’infanzia Il Mondo dei Bambini (dove sono accolti anche bambini con disabilità), contribuito all’orto sociale nel Centro diurno Disabili di Voghera e visitato il Piccolo Cottolengo Don Orione di Tortona.

Il progetto sulla salute e sull’ambiente

I gesti di ogni giorno sono importanti per il benessere collettivo. Lo hanno ben dimostrato gli allievi della 4ABA: hanno condotto analisi di laboratorio sugli effetti del fumo di sigaretta e organizzato la raccolta di mozziconi nelle aree esterne all’istituto. Lo raccontano a Mamme Magazine, piene di orgoglio, le docenti che hanno seguito i giovani in questi momenti di profonda crescita individuale e sociale. Sanno che tutti noi abbiamo bisogno di sostegno e motivazione. C’è una frase preferità che definisce chi è un “vincente”: è un perdente che non si è arreso. Un motto significativo nell’immenso impegno di educare una giovane vita a essere un cittadino di domani sapendo che la crescita è anche una strada piena di ostacoli.

Perché avete deciso di partecipare al concorso?

(Simona Lugano) “Ho scoperto per caso che il 20 marzo è stata proclamata dall’Onu la Giornata internazionale della felicità e che esisteva una realtà italiana – la Fondazione della Felicità di Walter Rolfo – impegnata a promuovere il benessere degli studenti, organizzare la formazione per i docenti e una serie di eventi per parlare di felicità ai ragazzi. Questa fondazione è anche l’organizzatrice del concorso, patrocinato dalla Regione Lombardia all’interno di un progetto più grande sull’aumento dei suicidi tra i giovani. Per noi educatori è un’esigenza grossa capire e non sempre abbiamo gli strumenti. Gli psicologi della Fondazione inventano test che aiutano a rifllettere e danno più strumenti per supportare i giovani. Il concorso invita i ragazzi a scendere in campo a favore di chi ne ha più bisogno, così abbiamo deciso di partecipare. È stata un’esperienza di crescita fondamentale sia per noi che per gli studenti”.

Qual è il modello di didattica che ha consentito di portare avanti queste attivita?

(Erica Prevadini) “È una didattica molto attenta ai bisogni dei ragazzi e alla loro crescita interiore, non solo alla trasmissione di nozioni finalizzata a voti ed esami di maturità Sono giovani provenienti da famiglie diverse, ognuno con un proprio bagaglio e una necessità di esprimersi. Quando hanno lavorato sulla problematica del fumo in un percorso fatto lungo tutto l’anno, hanno analizzando le sigarette e compreso che sono fabbricate con materiale non biodegaradabile. Abbiamo letto insieme le ricerche e hanno capito che non erano bugie: i mozziconi di sigarette sono tra i maggiori inquinanti del mare. Erano  soddisfatti e contenti dell’operato e abbiamo deciso di iscriverli al concorso. Sulle attività della raccolta di mozziconi si sono sentiti importanti nel dare una mano alla comunità: le persone li ringraziavano, li vedevano come la speranza per il futuro. Una speranza per gli altri ma che hanno vissuto anche per loro stessi”.

Tra i momenti più particolare per i ragazzi c’è stato il dialogo con i bambini disabili, come hanno reagito?

(Simona Lugano) “Abbiamo regalato il tempo dopo la scuola ai bimbi dell’asilo con il “Diario dei sorrisi regalati”. Li facevano cantare e ballare, dato che abbiamo tre ragazzi che suonano la chitarra. Da questi bambini i nostri alunni tornavano molto volentieri perché portava piu facilmente il sorriso anche a loro. Per esempio, una delle nostre ragazze ci ha detto che la cosa piu bella è stata essere riconosciuta dai bambini anche a distanza di quattro settimane. Quindi abbiamo portato via una gioia che ci ha riempito il cuore”.

I ragazzi hanno dato e ricevuto felicità. Come lo hanno voluto raccontare a scuola?

(Elisabetta Bersani) “C’è una frase di Einstein che dice: “la creativita è contagiosa, trasmettila” e l’ho riferita loro. Abbiamo cercato di mettere sia su carta che su computer tutte le emozioni con fotografie, testi e musiche. Siamo partiti con la manualità per tradurre le esperienze. In un’era come la nostra, accanto all’aspetto molto forte di umanità, con un ritorno alla manualità perduta i ragazzi hanno dimostrato di essere artisti, tutti in grado di testimoniare con la grafica, il colore e la forma. Uno studente ha suggerito il brano “C’est la vie” di Achille Lauro e, una volta esaminato, era azzeccatissimo. I nostri giovani ci fanno ammattire ed è nostro compito sollecitarli e redarguirli ma ho visto una partecipazione emotiva vera: non erano la per prendere un credito in più ma lavoravano in situazioni difficili. Anche io mi sono emozionata molto a vedere i loro occhi, le loro mani indossare guanti e mascherine per proteggere i piu fragili.  Con tutte le loro difficoltà, e sono tante, loro sono il futuro e la creatività che sta dentro e deve uscire, una volta manifestata, diventa mezzo di comunicazione per capire il mondo ed è come tuffarsi nell’infinito”.

Il futuro dei giovani attraverso la scuola: che idea hanno del loro lavoro di domani e dell’agricoltura?

(Erica Prevadini)  “La maggior parte dei ragazzi hanno aziende agricole in famiglia e l’idea che hanno è di innovazione. Quello che vedo in loro è la voglia di essere continuamente aggiornati per portare innovazione in azienda anche con i seminari organizzati con gli esperti del settore che danno loro spunti per il futuro, anche per l’enologia. Non conosco esattamente la loro opinione, ma è certa la voglia di migliorare e di avere un bagaglio culturale per essere ben formati per lavorare dopo in azienda. I nostri ragazzi sono sempre più preparati di alcuni veterani della zona e quando escono da qui trovano subito un lavoro perché le aziende li cercano, specialmente quando rimangono soddisfatti dopo averli avuti nell’alternanza scuola-lavoro”.

La scuola è collocata in un edificio molto bello e con un giardino fiorito. Anche questa bellezza dei luoghi di studio aiuta la felicità dei giovani?

Le docenti Simona Lugano, Elisabetta Bersani ed Erica Prevadini

(Elisabetta Bersani) “Sì, senza dubbio. Tante volte la si dà per scontato ma questa bellezza non è di tutte le scuole, molte cadono a pezzi. Vedere il bello aiuta: durante l’intervallo possono mangiare in giardino e in primavera e autunno fare lezione all’aperto. Poi abbiamo serre, giardini e orto botanico, facciamo una produzione attenta alla sostenibilità e vendiamo i prodotti. Questo istituto è stato realizzato dall’ingegnere Carlo Gallini dopo essersi reso conto che l’agricoltura era radicata nel territorio ma non c’era cultura e serviva crearla con una scuola gratuita. Alla morte ha lasciato dei soldi e un testamento per continuare a farla esistere. Abbiamo rilevato che qui esiste un forte senso di appartenenza.  Mi viene da sorridere se penso che i nostri ragazzi si fotografano con zappa in mano, con paglietta o con il cavallo. Questa è una cosa bella”.

 

 

 

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