Maria Rita Parsi: «Non c’è alternativa alla scuola si socializza vivendo nel gruppo»

L’intervista alla psicoterapeutica è stata pubblicata sul cartaceo di Mamme Magazine del 29 novembre 2025

di Manuela Vacca

 

«Ibambini devono andare a scuola, che è socialità, confronto, crescita, ingresso nel mondo». Lo sostiene Maria Rita Parsi, una delle più celebri psicoterapeute e psicopedagogiste italiane con oltre cento pubblicazioni tra testi scientifici, saggi, romanzi e testi teatrali. Siccome l’attualità conduce alla vicenda dei tre bimbi della famiglia nel bosco, ci tiene subito a precisare che «non erano maltrattati o in pericolo. Al contrario: avevano amore, accudimento, una routine affettuosa e coerente». Già unico membro italiano del Comitato Onu dei diritti dei minori e già componente dell’Osservatorio Nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, la specialista ripercorre i percorsi di socializzazione dei bambini, a iniziare dalle figure familiari.

Fuori ci sono i coetanei, che non sono parenti, da incontrare nelle altre realtà, con possibilità di scambio e di gioco. Sull’aspetto ludico precisa: «Il gioco è un percorso necessario per arrivare a un adulto equilibrato. I bambini hanno bisogno di attività creative: dai parchi alle piscine, dal lunapark al campo di calcio, dagli oratori sino al teatro».

Dopo ci saranno gli incontri all’asilo e nei vari gradi di istruzione scolastica. «Il mondo della scuola, dalle elementari alle superiori, è fondamentale come sono fondamentali quelli con cui condividi la strada: i primi amici e primi amori», racconta la professoressa che da anni si occupa della tutela e della difesa dei più piccoli.

La scuola resta un pilastro nella socializzazione o si può optare per altri modelli?

«Al di là di quanto si riceve a casa, si deve andare a scuola ed è richiesta la presenza: non sono d’accordo con gli isolamenti. La scuola deve formare sul piacere di sapere e cambiare per stare all’altezza dei tempi senza farsi battere dall’intelligenza artificiale».

Esiste sempre il pericolo che il virtuale crei isolamento nei giovanissimi?

«Sicuro: o poni un confine o diventa un problema serio. Lo avevamo scritto nei libri, pubblicati da Mondadori nel 2009 e da Piemme nel 2017, “L’immaginario prigioniero” sull’educazione dei giovani alle nuove tecnologia e “Generazione H”, sul fenomeno nato in Giappone degli Hikikomori, ragazzi che vivono solo in rete chiusi in stanza, senza più andare a scuola o lavorare».

Come proporre loro un altro modello di socializzazione?

«Con la cultura e gli intellettuali, dando a tutti gli strumenti. Già Gramsci lo diceva e prima ancora i Greci. E i tre quarti dei programmi tv dovrebbero essere usati per informare. Invece non c’è una buona notizia, solo guerre e cattive notizie: si crea paura. Quale vantaggio ha una persona che cresce in questo clima?».

È in uscita con Armando Curcio editore “La scuola al tempo del virtuale”. Cosa propone nel nuovo libro?

«Una scuola come centro polivalente sempre aperto per fare cultura e bellezza, non solo con insegnanti ben stipendiati ma pure inserendo una equipe multidisciplinare di operatori specializzati e includere forze del territorio e anziani. Quindi prevedere campi sportivi, laboratori di teatro, musica, educazione ai sentimenti e all’identità di genere, uso virtuoso del virtuale, nuove forme di comunicazione e poi formazione obbligatoria ai genitori. Sono per una rivoluzione totale tramite la scuola per fermare forme di degenerazione e violenza. Non mi dicano che è un’utopia. Realizzarlo invece sarebbe certamente possibile. Basterebbe volerlo davvero, capirne l’urgenza».

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