Figli, da giurista vi spiego perchè libertà di educare non è fuga

Si cresce tra relazioni e conflitti, secondo l’avvocato Paola Balducci, 76 anni, già componente del Csm. L’intervento è stato pubblicato nel cartaceo di Mamme Magazine del 29 novembre 2025

di Paola Balducci*

 

Bambini nel bosco” suona come una fiaba antica, una di quelle storie sospese tra alberi, silenzi e promesse di libertà. Peccato che in realtà non ci siano né magia né incantesimi: al loro posto ci sono protocolli, certificati, accertamenti, decreti e, ammettiamolo, anche un evidente scontro ideologico.

L’avvocato Paola Balducci

Eppure, un libro da cui nasce questa vicenda c’è. E non è un libro di fantasia, è il libro utilizzato dalla madre dei bambini come fondamento del proprio stile di vita e del proprio metodo educativo. Si intitola “i vostri figli hanno bisogno di voi” e rappresenta uno dei motivi per cui la famiglia di origini anglo-australiane ha deciso di vivere nella natura in Abruzzo, in una “casa” senza energia elettrica, acqua corrente e soprattutto, nota più che dolente, servizi sanitari. Uno dei nodi principali riguarda l’istruzione scolastica dei due bambini, entrambi in età elementare: i genitori hanno scelto di praticare l’istruzione parentale, non mandando i bambini a scuola ma educandoli da sé.

Questa vicenda ha diviso l’opinione pubblica in due schieramenti quasi opposti: da una parte chi difende la scelta del tribunale di allontanare i minori, dall’altra chi parla di violenza istituzionale verso una famiglia “alternativa”. In mezzo, come spesso accade, c’è una zona grigia più difficile da abitare: quella delle domande scomode. Non si tratta soltanto di stabilire se quella vita fosse giusta o sbagliata: il vero nodo è più profondo e riguarda il significato stesso della responsabilità genitoriale. Viviamo in un tempo in cui la libertà educativa viene spesso interpretata come libertà dal sistema: dalla scuola, dalle istituzioni, dalle regole condivise.
Ma esiste un equivoco di fondo: si confonde l’assenza di vincoli con la possibilità di crescere davvero liberi. E non sono la stessa cosa!

La libertà, in educazione, non è mai ritiro dal mondo. È esattamente il contrario: è accompagnamento, esposizione graduale alla realtà, presenza adulta capace di sostenere il bambino mentre impara a stare nelle relazioni, nei conflitti, nelle frustrazioni. Sottrarre i figli alla scuola, isolarli dai coetanei, escluderli dai contesti sociali non significa proteggerli, significa privarli degli strumenti per affrontare il mondo. È un insegnamento antichissimo: la socialità non è un optional, così come non lo è la possibilità di sperimentare il limite, la fatica, la diversità. E la scuola, a maggior ragione in tenera età, è anche e soprattutto veicolo di socialità, il primo impatto con l’altro e il diverso, in un ambiente protetto. Ed è qui che la vicenda esce dalla cronaca e diventa una questione pedagogica e giuridica.

La responsabilità genitoriale non consiste solo nell’amore, nella cura affettiva o nella trasmissione di valori personali. È anche – e forse soprattutto – il dovere di fare da ponte tra il mondo interno del bambino e la realtà esterna, di accompagnarlo fuori, non di chiuderlo dentro.

In questo senso, la scelta di vivere nel bosco non appare tanto come un modello educativo alternativo, quanto come una possibile rinuncia: rinuncia alla complessità, rinuncia al confronto, rinuncia a sostenere i figli nella fatica di diventare parte di una comunità. Il provvedimento di affido provvisorio nasce esattamente qui, in questa zona delicatissima. Non è – o non dovrebbe essere – una punizione per i genitori. È una misura di protezione per i minori, una misura temporanea, pensata non per spezzare legami, ma per garantire diritti fondamentali: l’accesso all’istruzione, alla socialità, a un ambiente capace di sostenere uno sviluppo equilibrato. Tuttavia, anche su questo punto serve onestà intellettuale: l’affido provvisorio è uno strumento potente e fragile insieme. Certo in casi drammatici può proteggere, ma può anche ferire se non è accompagnato, spiegato, sostenuto. Separare un bambino dai genitori è sempre un trauma. Anche quando è necessario e anche quando è giustificato.

Per questo il punto non è scegliere uno schieramento: famiglia contro Stato, natura contro società. Il punto è riconoscere una verità più scomoda: educare è difficile. Richiede fatica, richiede presenza, richiede la capacità di tollerare il disagio dei figli mentre imparano a stare al mondo. Quando questa fatica viene evitata, mascherata come “libertà”, il rischio è che i bambini diventino non soggetti di un percorso, ma portatori delle paure degli adulti. La vera libertà non si costruisce lontano da tutto, ma attraversando il mondo con strumenti adeguati. E la responsabilità genitoriale non è proteggere dalla realtà, ma insegnare come starci dentro.

*Avvocato Paola Balducci giurista italiana, già membro laico del CSM

Foto d’apertura: Pixabay

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