OnlyFans: femminismo o patriarcato?

Il fenomeno riguarda tante donne – casalinghe come lavoratrici, disoccupate come mamme – e potrebbe coinvolgere le nostre figlie: la piattafroma OnlyFans sembra una facile fonte di arrotondamendo se non di vera e propria ricchezza. A Mamme Magazine ne parla uno dei nostri esperto che, partendo dal social, osserva i risvolti culturali e gli scenari più inquietanti

di Nero De Cesari

 

OnlyFans è diventato, in pochi anni, un simbolo ambiguo del nostro tempo: una piattaforma che promette libertà e guadagno, ma che riporta con forza alla ribalta le vecchie dinamiche di potere tra sesso, denaro e patriarcato. Per capire se si tratta di uno strumento di emancipazione o di un’illusione, occorre concentrarsi su quello che potremmo definire il nodo centrale: il consenso.

Il consenso, infatti, è l’elemento chiave della narrazione. Se da una parte, rappresenta l’autodeterminazione poiché una donna che sceglie di monetizzare sul proprio corpo lo fa senza intermediari, senza coercizione, senza padroni. Ma dall’altra, porta con sé il peso del giudizio sociale, la stigmatizzazione, il rischio di rimanere ingabbiata nello stesso schema che si voleva combattere: il corpo femminile come valore di scambio.

Femminismo ed emancipazione

Il punto centrale è che il femminismo, nel tentativo di emancipare la donna, sembra piegarsi alle stesse regole del patriarcato per ottenere forza: esporsi per guadagnare può sembrare supremazia, ma resta un gesto inscritto nel mercato del desiderio maschile. OnlyFans rischia quindi di essere non tanto un luogo di liberazione, quanto una vetrina del fallimento culturale: una scorciatoia offerta da una società incapace di costruire reali opportunità di uguaglianza culturale, sociale e professionale.

In tal senso, monetizzare il corpo appare come l’ennesima scorciatoia per bypassare l’impegno, lo sforzo, il percorso lavorativo tradizionale, la scalata sociale: un modello di arricchimento rapido che conferma gli stessi meccanismi economici e culturali contro cui il femminismo si batte e quindi ci si pone la domanda: i concetti di autodeterminazione ed emancipazione possono appropriarsi di un modello, di un pattern “contrario” al principio stesso di femminismo per esistere e ribaltarne significato e risultato?

Gli studi

Per non rimanere imprigionati nella nostra sola prospettiva, occorre guardare cosa ne dicono studiose e teoriche femministe: l‘avvocata femminista Catharine MacKinnon (“Patriarcato travestito”) ha definito OnlyFans una forma di “pimp digitale”: pornografia di nicchia che mantiene la logica patriarcale dello sfruttamento. Per lei, non c’è emancipazione: solo una riedizione aggiornata delle stesse dinamiche di potere.

Gli studi di area tecnofemminista vedono OnlyFans come un progresso minimo o moderato. Minimo, perché migliora condizioni di sicurezza (niente produttori, niente agenzie). Moderato, perché introduce un certo grado di autonomia. Ma non cambia davvero le regole profonde del patriarcato.

Secondo l’approccio marxista, l’emancipazione vera non può passare per piattaforme che continuano a mercificare il corpo. OnlyFans resta un’istituzione che alimenta il capitalismo patriarcale: il profitto individuale si regge sullo sfruttamento collettivo e sulla permanenza delle gerarchie economiche.

Alcune ricerche (ad esempio in Germania) mostrano che né il paradigma dell’oppressione né quello dell’emancipazione riescono a spiegare il fenomeno. Le donne su OnlyFans vivono una duplice condizione: empowerment economico e stigmatizzazione sociale, guadagno e precarietà, libertà e sottomissione.

Post-femminismo e whorearchy

Un’analisi più culturale individua l’emergere della “whorearchy”: una gerarchia tra sex worker accettabili (quelle digitali, creative, online) e quelle marginalizzate (prostituzione tradizionale). OnlyFans non elimina lo stigma, ma lo ridefinisce: dà un posto d’onore a chi si adatta al modello neoliberale, lasciando invisibili le altre.

Il paradosso

La prima cosa che salta agli occhi è il paradosso: noi lo leggiamo come una specie di specchio deformante della società moderna. L’impressione è che viva un dualismo in termini. Da una parte ti promette emancipazione, ci sono donne che trovano autodeterminazione, indipendenza e massima libertà di espressione, ma dall’altra conferma il fallimento culturale del nostro tempo.

Patriarcato in versione digitale

Su questo punto, Catharine MacKinnon è addirittura più drastica: per lei OnlyFans non ha niente a che vedere con l’emancipazione. È solo patriarcato in versione digitale, un modo elegante per rigenerare vecchie dinamiche ma con strumenti nuovi. A tal proposito non possiamo dimenticare di citare Zohreh Khoban (Emancipazione come rottura del sistema) e Amy Allen (Emancipazione senza utopia). Khoban non parla direttamente di OnlyFans, ma il suo concetto di emancipazione come rottura dei meccanismi di potere (esempio: rappresentanza politica estratta a sorte anziché eletta) offre un criterio utile: emanciparsi significa non adattarsi al sistema esistente, ma modificarne le regole.

In questo senso, OnlyFans sembra più una forma di adattamento che una rottura. Allen invece propone di vedere l’emancipazione come critica continua, non come traguardo perfetto. È un processo negativo: smascherare le forme di oppressione senza bisogno di proporre un mondo ideale. Applicata a OnlyFans, questa visione mostra bene la tensione: la piattaforma è utile non perché liberi davvero, ma perché rivela le contraddizioni di un sistema che si dice moderno e paritario, ma che ancora misura la donna sul suo corpo e col suo stesso consenso.

Il consenso e il giudizio

E appunto, la questione del consenso, è il nodo più ambiguo: scegliere liberamente di mostrarsi è sì libertà, ma è anche esposizione al giudizio, allo stigma, alla cattiveria della gente, all’ignoranza. In un mondo ancora mediato da moralismi sociali e religiosi ereditati da una generazione a metà tra Woodstock e Piazza San Pietro, non manca chi punta il dito sulla tecnologia, come fosse il mostro da affrontare, nascondendosi dietro un filo d’erba per non affrontare il problema della parità di diritti, del bisogno spasmodico di ridefinire il concetto di famiglia e soprattutto, ancora, pieno di “bisogno” di giudicare.

Gli studi più recenti dicono: le donne che usano OnlyFans vivono un doppio stato, da un lato empowerment (cioè potere e indipendenza), dall’altro oppressione, perché subiscono comunque etichette, giudizi e pressioni. Da un lato il concetto di autodeterminazione, dall’altro il giudizio negativo di una parte della società ipocrita che comunque fa uso del servizio.

Il facile guadagno

Altro punto da affrontare è il discorso relativo all’arricchimento facile, come scorciatoia illusoria: il guadagno rapido che sembra una vittoria, ma che in realtà spesso lascia vuoti, precarietà e delusioni. Le femministe marxiste traducono questa idea in termini molto netti: quello che sembra emancipazione non è altro che sfruttamento sistemico. Insomma, emancipazione finta, capitalismo reale.

C’è poi il tema del fallimento culturale: OnlyFans è la prova che la società non sa più offrire strade di emancipazione autentica. Il tecnofemminismo, però, mitiga questa visione, sostenendo che non è un fallimento totale, ma un progresso minimo, insufficiente, un piccolo passo avanti che non risolve il problema ma almeno evita passi indietro.

Una strada per le nuove generazioni

Insomma, una cultura moderna che nasconde la polvere sotto il tappeto: insufficiente e scadente, che non aiuta le nuove generazioni a scegliere un percorso, che non promuove il concetto di pensiero critico. Il post-femminismo spinge ancora più in là questa osservazione: sostiene che OnlyFans non libera davvero, ma costruisce nuove gerarchie morali. In pratica stabilisce chi è una sex worker “accettabile” e chi no, ridefinendo i confini dell’accettabile senza scalfire la sostanza del problema. Un modo per definire una professione cercando di incasellarla all’interno di un contesto con un background meno “malfamato”, che rimandi ad immagini meno “immorali”.

Da piattaforma a terreno di scontro

OnlyFans si è trasformato da sito di contenuti a pagamento in vero e proprio campo di battaglia simbolico. I due schieramenti sono: femminismo e patriarcato. Se da un lato, offre strumenti di autonomia economica e controllo individuale., dall’altro, perpetua le stesse regole del patriarcato e del capitalismo.

Non si può liquidarlo né come patriarcato puro né come emancipazione pura. È entrambi, simultaneamente. E forse questo è il punto più inquietante: l’emancipazione digitale rischia di essere solo una nuova forma di prigionia, più elegante, più lucida, ma sempre costruita dalle stesse mani che dice di voler spezzare.

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