C’è ancora un’Italia che offre lavoro

Chi smonta un motore capisce l’universo più di chi lo spiega. L’intervista è tratta dall’inserto cartaceo di Mamme Magazine di sabato 25 ottobre

di Emilio Piervincenzi

 

Come qualche volta accade, da un’idea che sembrava piccola, può nascere una visione. Hai questa sensazione, quando parli con Rosario Rasizza, e ti confronti con quella voce tonda e arrotata, di quelle voci nate per convincere gli altri. Perché tutto è cominciato, si può dire, da una convinzione: quella di farcela. Periferia di Varese, genitori operai alla catena di montaggio della Ignis di “paron” Borghi che tornavano a casa distrutti dalla fabbrica e non avevano nemmeno la forza di parlare. “E io lì, a guardarli, e a dirmi: Rosario, tu non farai quella vita”. Non ha fatto quella vita, Rosario Rasizza da Varese, anni 57. E in qualche modo il suo successo umano e imprenditoriale lo porta ad aiutare gli altri a non vivere vite difficili e senza soddisfazioni, quelle vite che ti conducono a fine giornata senza nemmeno avere più la voglia di parlare.

Rosario Rasizza
Rosario Rasizza

«Sa, avevo un fuoco dentro che si alimentava nel vedere i miei genitori a fine giornata. Li volevo aiutare e volevo scrivere per me una storia diversa. E così è andata, non senza fatica mi creda». Ora eccoci qui, Amministratore Delegato e cofondatore di Openjobmetis, tra le principali Agenzie per il Lavoro in Italia, 800 dipendenti con sedi un po’ in tutta Italia, aiuta diverse migliaia di persone a trovare un lavoro qualificato e presidente di Assosomm Associazione Italiana delle Agenzie per il Lavoro. Dal 2024 Openjobmetis è entrata a far parte di Group Crit, quotata in Borsa a Parigi. Eppure…

“Eppure – precisa Rasizza dalla sede della sua azienda a Gallarate, dove si diplomò perito elettrotecnico e da dove partì la sua avventura, prima come venditore di prodotti elettronici poi come visionario creatore di opportunità di lavoro – eppure tutti dovremmo avere più voglia di dimostrare a noi stessi che possiamo fare qualcosa di importante, che possiamo crescere, fare carriera, vivere meglio. E invece quando incontriamo i ragazzi alla fine del diploma o all’inizio dell’università non scorgiamo nei loro occhi quel fuoco di cui parlavo all’inizio. Forse, semplicemente, preferiscono restare nella zona di comfort dove li hanno messi i propri genitori. E questo è un ostacolo che ci obbliga come azienda ad intervenire. Così cerchiamo di trasmettere a questi ragazzi che è bello avere successo. Sì, anche questo fa parte del lavoro di Openjobmetis».

A sentirla parlare, Rasizza, sembra che in Italia ci sia talmente tanto lavoro che non ce la facciamo a soddisfare le richieste. Ha dunque ragione il ministro Valditara quando sostiene che le scuole professionali e tecniche sono sottovalutate?

«So che il mondo è cambiato e non esistono più lavori di serie A e di serie B. Non necessariamente, anzi, un laureato ha un lavoro più soddisfacente di un tecnico specializzato. E glielo dico stando sulla tolda di un osservatorio privilegiato che è quello della mia azienda. So anche che ai ragazzi andrebbe lasciata la possibilità di scegliere. Io sono perito elettrotecnico ed eccomi qua. A mio figlio ho chiesto che cosa volesse fare e lui mi ha risposto, con una lucidità apprezzabile, che voleva fare il classico e poi l’università con indirizzo marketing e comunicazione. Cioè ha allungato lo sguardo su quello che è il futuro. E io l’ho lasciato fare».

Dicevamo il lavoro. Ce n’è così tanto secondo lei?

«Sì. Ma bisogna incrociare offerta e domanda e soprattutto pesare domanda e offerta. Sa quanti infermieri mancano in Lombardia? Quindicimila. Sa che a Milano non si trova un impiegato nel settore addetto paga e contributi o che a Brescia le aziende sono costrette a rinunciare agli ordini per mancanza di saldatori, fresatori, tornitori? A Varese mancano i tecnici per le macchine utensili e per la plastica, in Toscana e Marche c’è tutto il mondo del calzaturiero e della moda… Insomma il lavoro è una specie di triangolo: lavoratore-cliente-agenzia. Ma devi avere la voglia, quel fuoco di cui parlavamo prima. E devi saper fare qualcosa di specifico».

Forse non si trovano operai specializzati o tecnici perché lo stipendio è basso e la vita è cara…

«Ma le aziende ti aiutano anche per i costi della vita, la casa, i bisogni primari. E gli stipendi non sono affatto bassi. Diciamo che c’è anche una responsabilità politica, per esempio, nella gestione dei flussi migratori. Guardi che se si riduce il numero dei lavoratori stranieri allora veramente si fa dura».

Si spieghi meglio.

«Io sono anche presidente dell’Associazione italiana agenzie per il lavoro, va specificato che le agenzie sono autorizzate dal ministero, e in questa veste presto incontrerò Maria Teresa Bellucci, vice ministro del Lavoro, per illustrarle il nostro piano. Si tratta di questo, molto semplice: invece di fare il clickday, date a noi agenzie per il lavoro 20mila immigrati all’anno e pensiamo noi a distribuirli. Lavoratori provenienti da Tunisia, Argentina, Brasile hanno ad esempio la professionalità per ricoprire il ruolo infermieristico. Li prendiamo in carico noi, li tracciamo dall’arrivo all’alloggio che gli procuriamo noi, li assumiamo. Sa quanto ci metto a inserirli a Milano? Otto mesi».

Così facile che stento a credere che non sia stato già fatto.

«Eh, la burocrazia è un bel problema. Ci sono diversità enormi nelle procedure per gli immigrati tra le Prefetture. Quella di Varese segue un certo protocollo, quella di Catanzaro un altro. Ecco perché voglio chiedere di lasciare a noi questo compito».

E al Sud come va?

«Ora che siamo usciti da una delle più grandi tragedie nazionali del lavoro…».

Prego?

«Ma sì, il reddito di cittadinanza! La difficoltà al sud non era quella di trovare figure professionali da far assumere ad aziende che lavoravano alla luce del sole, ma trovare figure professionali che accettassero di lavorare con contratti regolari. Perché il reddito di cittadinanza ti garantiva un sussidio e il resto lo facevi in nero così da non perdere il sussidio. Sono stati anni terrificanti».

Oggi meglio?

«Molto. Prendiamo la categoria badanti. Ne abbiamo un grandissimo bisogno qui al Nord e se viene una signora dal Sud o dall’estero noi le garantiamo lo stipendio, l’alloggio e il vitto perché prendiamo solo quelle che restano in famiglia. Tutto alla luce del sole, Irpef compreso, pensione, stabilità, possibilità di avere un mutuo. Ma anche qui, la politica… Per incentivare questo processo bisognerebbe consentire al cliente di detrarre il costo della badante e questo aiuterebbe a far emergere il sommerso. Anche di questo parlerò con la Bellucci».

Quanti curriculum ricevete al mese?

«Centoventimila. Ora con queste nuove piattaforme si formano database mostruosi. Nel ’98, quando ho iniziato, i lavoratori venivano in agenzia e lasciavano il curriculum».

Già, il ’98, quando tutto è iniziato. Ma ancora non mi ha raccontato come le è venuta l’idea.

«Nel ’98 le agenzie per il lavoro non c’erano. Un giorno sentii Silvio Berlusconi garantire che presto la legge sulle agenzie interinali sarebbe arrivata. Infatti di lì a poco venne approvata la Legge Treu. E io fui uno dei primi a crederci. Ho iniziato in un locale di via Carobbio, di fronte a una pizzeria. Oggi abbiamo 119 filiali distribuite in Italia. I sogni, a volte, si avverano. Ma bisogna crederci».

Foto di apertura: Pixabay

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