Il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, ha un piano per l’educazione alimentare «Vorrei che i bambini imparino, oltre alla matematica, anche a mangiare bene». L’intervista è stata pubblicata sul cartaceo di Mamme Magazine di sabato 1 novembre 2025
di Manila Alfano
«Sogno un’ora di educazione alimentare in tutte le scuole perchè il cibo è cultura e salute». Ettore Prandini, presidente dal 2018 di Coldiretti, la principale associazione agricola italiana con 1,6 milioni di associati ha un obiettivo chiaro in testa: «Ci siamo, spero entro l’anno di concludere l’iter, stiamo lavorando con le istituzioni, con il ministero affinchè i bambini imparino, oltre alla matematica anche a mangiare bene».

Siete già partiti con un primo progetto?
«Sì, nelle scuole primarie di molte provincie italiane siamo già attivi con diversi progetti raggiungendo migliaia di bambini. A Brescia c’è anche un progetto con gli asili dove formiamo noi le maestre».
Presidente perché questa urgenza?
«Mai come ora l’educazione nelle scuole è di fondamentale importanza. Dobbiamo frenare le mode dei prodotti così dannosi per la nostra salute».
Quali sono i prodotti più pericolosi?
«Quelli ultraformulati. Ad esempio le merendine, gli snack, che paradossalmente i nostri bambini possono trovare senza sforzo nei distributori delle loro scuole o le bibite energetiche che sono un serbatoio di dolcificanti. La nostra battaglia parte da lì. Iniziamo a introdurre nelle scuole del cibo sano. Ogni studio medico ormai ha dimostrato che sono un rischio per la salute».
Cosa stanno facendo negli altri Paesi?
«Penso ad esempio al Regno Unito o agli Stati Uniti dove il dibattito è iniziato anni fa e da anni ormai mettono in campo diverse strategie, a partire dall’introduzione di regole sul food marketing in tutela dei minori. In Inghilterra hanno introdotto il divieto di pubblicità durante il giorno per i prodotti tossici. Negli Stati uniti i cibi destinati alle scuole o alle mense devono superare criteri precisi».
E in Italia?
«Il nostro Paese parte avvantaggiato: abbiamo un tesoro che si chiama biodiversità, prodotti eccellenti del territorio. Ecco perché con le nostre istituzioni ci stiamo impegnando per migliorare la qualità dell’offerta nelle scuole e negli ospedali».
Migliorare la qualità significa aumentare i costi?
«Occorre fare un discorso di prospettiva. Pensare che questa non è una spesa ma un investimento che farà risparmiare. Studi scientifici dimostrano che il consumo di cibi tossici fa aumentare l’insorgere di malattie che fino a pochi anni fa si trovavano solo tra anziani. Il consumo di cibi malsani ha anticipato reazioni nell’apparato digerente. Insomma ci ammaliamo prima. Antonio Gasbarrini professore di gastroenterologia e presidente del Centro Malattie dell’Apparato Digerente del Policlinico Gemelli di Roma e presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Aletheia, ha più volte richiamato l’attenzione sui rischi legati al consumo abituale di cibo spazzatura: non solo accorcia la vita, aumentando il rischio di obesità, diabete, malattie cardiovascolari e tumori ma ha spiegato come i malati sono sempre più giovani in base al cibo che consumiamo».
In che senso?
«Che le malattie che un tempo interessavano persone adulte, a partire da almeno cinquant’anni, oggi colpiscono più precocemente. C’è un anticipo sulle malattie dovuto dal cibo malsano che crea una forma di reazione
sull’apparato digerente».
A che età ci ammaliamo?
«Già da trent’anni. In alcuni casi anche più giovani. Abbiamo constatato che è una tendenza in rapida evoluzione, e se non facciamo qualcosa per invertirla, già nell’arco dei prossimi dieci anni avremo una vera emergenza sanitaria nazionale che rischia dimettere in crisi il nostro sistema sanitario».
Da dove possiamo partire?
«Dalle basi. E torniamo alla cultura, alla formazione. Dobbiamo iniziare dalle scuole primarie. Fare cultura alimentare nelle classi. Rilanciamo le mense scolastiche come luoghi di educazione e salute, attraverso l’introduzione sistematica di cibo a km zero, locale, stagionale e di filiera corta, sottraendo le gare d’appalto alla logica del massimo ribasso economico, che penalizza la qualità e la sostenibilità. Mettiamo in campo un patto educativo tra scuola, famiglia e agricoltori, per far capire ai ragazzi l’importanza dell’origine del cibo».
Quanto sono importanti i giovani in questo discorso?
«Dobbiamo creare un canale di comunicazione proprio a partire da loro in modo che siano loro il veicolo di discussione una volta a casa».
Gli italiani sono pronti a questa nuova cultura del cibo?
«Sì, penso che i tempi siamo finalmente maturi. Otto italiani su 10, secondo una ricerca Coldiretti/Censis chiedono di vietare per legge la presenza dei cibi ultra trasformati nelle mense scolastiche, seguendo l’esempio della California, che ha recentemente approvato una norma per tutelare la salute di bambini e ragazzi. Il 91% degli italiani ritiene fondamentale introdurre forme accessibili di educazione alimentare fin dalle scuole elementari. Un’esigenza resa ancora più urgente dal fatto che, per il 62% dei cittadini, la scelta delle pietanze in casa o durante i pasti con parenti e amici è condizionata dalle preferenze dei figli o dei nipoti».
Però il cibo di qualità costa e non tutti possono permetterselo.
«Siamo consapevoli di questo. Per tale motivo insistiamo sulla possibilità di avere a scuola un pasto di qualità».
Come stanno i bambini italiani?
«In Italia il 27,2% dei minori è in condizione di sovrappeso di cui i maschi sembrano maggiormente esposti al fenomeno. In particolare, le fasce di età più sensibili al problema sono proprio quelle tra 3-5 anni e 6-10 anni, dove circa un bambino su tre risulta essere obeso. A incidere su questa situazione è il consumo di cibo spazzatura. Gli snack dolci vengono consumati più di tre giorni a settimana dal 53% dei bambini, quelli salati dal 12%. Una dieta ipercalorica ricca di zuccheri e grassi. Noi dobbiamo invece insegnare loro a mangiare frutta e verdura»
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