La scuola si spopola, via un milione di alunni

Antonello Giannelli è leader dei presidi italiani: «Copiamo l’Europa più servizi e strutture». L’intervista è stata pubblicata sul cartaceo di Mamme Magazine di sabato 22 novembre 2025

di Angelica Amodei

 

Antonello Giannelli
Foto Anp

Il calo delle nascite in Italia è un fenomeno ormai in stato avanzato e i suoi effetti stanno diventando sempre più visibili anche nel sistema scolastico. Negli ultimi dieci anni il numero degli studenti è diminuito in modo costante e significativo, provocando in molte aree una riduzione progressiva delle classi e, in alcuni casi specie nei piccoli centri, la riorganizzazione della rete dei plessi. Qual è oggi l’impatto più evidente di questa tendenza? E quali scenari si profilano per il futuro?

Ne abbiamo parlato con Antonello Giannelli, presidente nazionale di Anp (Associazione Nazionale Dirigenti Pubblici e Alte Professionalità della Scuola). «Non è un problema di oggi. È un allarme che lanciamo già da molto tempo – spiega Giannelli-. Negli ultimi dieci anni abbiamo perso una media di centomila alunni all’anno: un milione di studenti in meno. Sono numeri importanti. Siamo un Paese che non fa figli, mancano ancora politiche di sostegno alle famiglie. Mantenere un figlio è impegnativo e nascono di conseguenza meno bambini. Le previsioni dell’Istat dicono che in trent’anni scenderemo a 40 milioni di abitanti».

Guardando a un orizzonte più vicino, cosa potrebbe accadere tra cinque anni?

«Tra cinque anni è possibile che l’organico della scuola diminuisca. Finora era stato mantenuto, ma ora si sente la necessità di ridurlo. Il Ministero delle Finanze lo fa rilevare continuamente: mantenere l’organico comporta una certa spesa. Finora non è diminuito troppo, ma la prospettiva è che si riduca, perché meno alunni significano meno classi».

La riduzione degli studenti ha già effetti concreti, in particolare nelle aree interne e nei comuni più piccoli, dove alcuni ragazzi sono costretti a percorrere chilometri per raggiungere la scuola più vicina.

«In alcuni casi, parlo soprattutto dei piccoli centri, è così o potrebbe essere così. Calando il numero degli studenti, diminuiscono le classi. Già alcune sono meno numerose e a volte non raggiungono il numero minimo di alunni. In alcuni istituti con più sezioni accade che le classi vengano accorpate. Oggi abbiamo città con scuole e classi più numerose, mentre altre sono destinate a sparire. È un fenomeno da vedere caso per caso. Come detto, il fenomeno è più pronunciato nei piccoli centri, nelle aree rurali, soprattutto del centro-sud. Assistiamo da tempo allo spopolamento: i ragazzi se ne vanno per studiare, poi non tornano. Rimangono gli anziani. Se ci sono pochi bambini, le scuole chiudono. E di conseguenza le giovani coppie scelgono di non andarci a vivere. In Italia abbiamo tanti piccoli centri quasi disabitati: è ciò che accade da decenni».

Accanto allo spopolamento, un altro cambiamento in atto è l’aumento delle classi multietniche, con bambini provenienti da molte parti del mondo.

«Viviamo in un mondo globalizzato, la libertà di spostamento produce questo. In alcune zone, come vicino Prato, ci sono molte famiglie di origine cinese: è normale. Alcune classi hanno più studenti cinesi che italiani. Molti bambini con genitori stranieri nascono in Italia, quindi non hanno problemi con la lingua e sono perfettamente integrati. Se arrivano a 5-6 anni, immersi in un contesto italiano, apprendono velocemente la lingua. Il problema, se vogliamo, è per i ragazzi più grandi, che arrivano a 14 anni senza parlare italiano: ci mettono un po’ di più, però in uno-due-tre anni parlano perfettamente. Il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha già istituito e incrementato fondi per remunerare docenti che insegnano l’italiano come seconda lingua».

La riduzione delle iscrizioni sta già portando alla chiusura di sezioni e plessi. Quali conseguenze vede per il futuro della rete scolastica? È preoccupato?

«Ma guardi, no. È una normale dinamica socio-demografica. Vogliamo limitarci a constatare che la popolazione continua a scendere oppure vogliamo invertire questa tendenza con politiche di sostegno alla natalità e alle famiglie, come hanno fatto altri Paesi? Se oggi sosteniamo la natalità produrrà effetti positivi più avanti. Se facciamo qualcosa adesso, tra dieci anni forse si ripopolano le classi prime. Non possiamo aspettarci cambiamenti in sei mesi: è un tempo troppo breve».

C’è il rischio di un impoverimento dell’offerta formativa a causa delle riduzioni di organico?

«No. C’è proporzionalità tra organico e numero di alunni. Quello che accade, e sta già accadendo, è che nei piccoli centri si riducono i plessi. Il problema è la mobilità, certo. Bisognerebbe potenziare alcune linee di intervento. È tutto collegato, come sempre».

Foto in apertura: Pixabay

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