Letizia Moratti, deputata del Parlamento europeo, e l’allarme lanciato anche da Musk: «E’ un’emergenza, dobbiamo intervenire ma non bastano solo gli aiuti economici». L’intervista è stata pubblicato sul cartaceo di Mamme Magazine di sabato 22 novembre
di Manila Alfano
Da oltreoceano Elon Musk lancia post dal tono apocalittico: «L’Italia sta scomparendo». I numeri gli danno ragione: facciamo sempre meno figli. Se l’Occidente è in crisi, è il nostro Paese a soffrire di più per le culle vuote e le coppie italiane fanno più fatica dei vicini europei a mettere su famiglia. Perchè? La denatalità è un fenomeno complesso da maneggiare, tanto più che le esperienze europee mostrano che gli interventi funzionano solo quando affrontano simultaneamente più aspetti.
Nell’ultima manovra ci sono misure per la famiglia e le mamme pari a 18,7 miliardi. In molti dicono: è troppo poco. Letizia Moratti uno dei leader politici di Forza Italia, imprenditrice, che ha ricoperto importanti cariche istituzionali: sindaco di Milano, ministro dell’Istruzione, vice presidente e assessore al welfare della Lombardia e presidente della Rai e oggi europarlamentare, fa un discorso di prospettiva. «La componente economica è molto rilevante. Salari bassi, costi della casa elevati, precarietà del lavoro.
Ma non è l’unico fattore. Contano anche la mancanza di servizi, la gestione del tempo, la difficoltà di conciliare lavoro e cura. Per intervenire servono politiche su più fronti. Serve stabilità lavorativa e salariale, dal momento che l’Italia ha uno dei tassi più alti di lavoro precario tra i giovani in Europa. Politiche abitative per under 35 e giovani coppie. Servizi per l’infanzia che riducano il carico familiare, soprattutto sulle donne. Nel 2024 le nascite sono scese sotto quota 370mila, con una fecondità pari a 1,13 figli per donna, uno dei valori più bassi registrati».
La legge finanziaria 2026 prevede interventi per la famiglia…
«Sì, il Governo ha stanziato risorse importanti per la famiglia e i figli e anche finanziato riforme strutturali».
Sono misure che vanno nella giusta direzione?
«Ogni intervento che sostiene le famiglie è positivo in un Paese che vive una delle situazioni demografiche più difficili d’Europa».
Chi critica la manovra parla di interventi leggeri, addirittura ininfluenti. È d’accordo?
«Il pacchetto famiglia della manovra 2026, con 1,6 miliardi aggiuntivi e 3,5 miliardi su tre anni, dimostra che il governo ha mantenuto la famiglia tra le sue priorità. L’aumento del bonus mamme lavoratrici e il rafforzamento del congedo parentale sostengono le madri in modo più sistematico rispetto a misure una tantum».
Cosa si potrebbe aggiungere compatibilmente con le risorse dello Stato?
«La riforma dell’Isee è particolarmente strategica. Rendendo la prima casa meno penalizzante ai fini dell’indicatore, più famiglie potranno accedere a sussidi come assegno unico, bonus nido, bonus bebè. I nuovi fondi per caregiver e per le attività socio-educative mostrano un’attenzione al lungo periodo e non solo al sostegno economico immediato. È importante investire in ciò che cambia il contesto in cui le famiglie prendono le decisioni: servono più servizi, stabilità e conciliazione».
Si è sempre fatto poco in Italia per il welfare delle famiglie con figli: quali sono gli interventi più urgenti?
«Gli interventi più urgenti sono quelli che affrontano gli ostacoli strutturali che in Italia sono particolarmente marcati come precarietà lavorativa, carenza di servizi e costi della cura. Servono più servizi 0–6 anni, con una rete omogenea sul territorio; congedi parentali meglio retribuiti e più equilibrati; politiche di conciliazione lavoro–vita coerenti con i modelli europei».
Quanto incide il tema economico nella scelta di avere figli?
«Le famiglie a reddito medio e basso oggi sono quelle che rinunciano di più alla genitorialità per ragioni economiche. Ecco perché è importane aiutarle. L’età media al primo figlio in Italia supera i 31,5 anni, quasi due anni oltre la media Ue che è di 29,8, un segnale chiaro delle difficoltà a programmare il futuro».
Il Pnrr può dare un aiuto concreto?
«Sì, il Pnrr rappresenta una leva cruciale perché consente di finanziare ciò che il bilancio ordinario fatica a sostenere, le infrastrutture sociali permanenti. Di riflesso, quindi, le risorse europee sono state destinate soprattutto ad aumentare i posti negli asili nido, migliorare l’edilizia scolastica, potenziare i servizi educativi fino all’età scolare, digitalizzare i servizi sociali, favorire occupazione giovanile e femminile. È la prima volta che l’Unione Europea sostiene la prima infanzia come “infrastruttura strategica”, riconoscendo che la natalità è un tema che riguarda l’intera crescita europea».
Bonus e decontribuzioni sono la strada giusta?
«Possono essere utili per sostenere le famiglie nel breve periodo, ma l’esperienza internazionale mostra che da soli non bastano. Negli ultimi quindici anni, nonostante l’alternarsi di vari bonus, l’Italia ha perso oltre 200 mila nascite annue rispetto ai livelli del 2008».
Cosa manca allora?
« I Paesi europei, soprattutto nordici, con tassi di natalità più stabili combinano tre elementi: sostegni economici, servizi di qualità per l’infanzia, congedi equilibrati e con divisi. Le misure fiscali sono utili, ma devono inserirsi in un disegno più ampio, coerente e pluriennale».
Come si può invertire il trend?
«È un percorso che richiede anni, ma i Paesi europei che hanno ottenuto risultati, penso a Francia, Svezia, Danimarca, dimostrano che la natalità risponde a politiche stabili e coerenti».
Cosa fa l’Unione europea?
«A livello europeo si sta lavorando su congedi più equi, servizi per l’infanzia, partecipazione femminile e diritti sociali. Sono leve che non intervengono direttamente sulla natalità, ma creano un ambiente più favorevole alle scelte familiari. Pur non avendo competenza diretta sulla natalità, l’Unione Europea incide in modo significativo tramite politiche su lavoro, servizi e diritti sociali».
Può farci esempi concreti?
«La Direttiva Work-Life Balance del 2019 ha introdotto standard minimi europei: 10 giorni di congedo di paternità retribuito in tutta la Ue, come è stato introdotto ora in Italia. I 4 mesi di congedo parentale per ciascun genitore, di cui 2 non trasferibili; diritto a forme flessibili di lavoro per genitori e caregiver. È uno strumento essenziale per sostenere la conciliazione e ridurre la disparità di carico familiare. Il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali stabilisce diritti comuni su servizi di cura ed educazione precoce, parità salariale, protezione sociale, sostegno all’infanzia».
Quanto contano nella Ue le politiche familiari?
«L’Ue valuta ogni anno le politiche familiari dei Paesi nel quadro del Semestre Europeo. I fondi Fse+ e Fesr finanziano concretamente nidi e scuole dell’infanzia, progetti per l’occupazione femminile, iniziative contro la povertà minorile, servizi territoriali per le famiglie. La Garanzia Europea per l’Infanzia del 2021 impegna gli Stati a garantire a ogni bambino accesso a educazione, sanità, alimentazione, attività culturali e sportive. Infine, l’Agenda Strategica 2024–2029 per la prima volta include esplicitamente la necessità di affrontare il declino demografico e rafforzare i diritti sociali dei giovani e delle famiglie».

