Abbiamo ricevuto questa lettera in redazione di una mamma che racconta di quanto possa essere inutile cercare di influenzare le scelte di un figlio. Ci siamo chiesti se vale anche per decidere il percorso scolastico. Dobbiamo seguire i sogni di genitori o adattare la scuola al loro carattere? L’abbiamo pubblicata anche sull’edizione cartacea di Mamme Magazine di sabato 8 novembre 2025
di Vera Sebastiani
Sul display del mio cellulare ho una foto di mio figlio di quando aveva sei anni. Ne ha sedici… Oggi è pettinato come un maranza (quando ero io a decidere il barbiere aveva la riga da una parte), è perennemente vestito di nero (io lo mandavo pure in spiaggia con la camicia bianca) e dopo anni in una scuola di quelle “per bene” ma senz’anima ed empatia ha scelto anche l’istituto che voleva lui. E’ uscito dalla mia scia, insomma. Da tutti i punti di vista.
Per questo io conservo ancora l’immagine di quando lo sentivo “mio”. Di quando, cioè, era la perfetta emanazione di come lo volevo. Ovviamente in mezzo a quelle due foto è esplosa la sua adolescenza, con tutti i conflitti, le incomprensioni, gli scambi intollerabili, la frustrazione di certo mia ma forse di entrambe le parti. Mi rendo conto del fatto che, invece che gioire della sua rabbia evolutiva, sono rimasta male per tutto e mi sono arrabbiata più spesso di quanto avrei dovuto.
Chiudendomi, anziché aprendomi a capire come volesse provare a costruirsi. Senza mai pretendere, questo almeno no, che lui fosse il migliore, il perfetto, il più studioso, il più bravo a calcio, mi sono comunque inconsciamente opposta a ciò che aveva scelto in autonomia per se stesso, a tutto quello che è andato fuori dal mio “seminato”. Per tanto tempo ho vissuto ogni scelta come un dispetto nei miei confronti invece che come un’affermazione del suo sé.
Forse la componente della provocazione e dello strappo c’era e c’è tuttora, ma non è una vuota di senso e probabilmente per lui non è neppure indolore. Per questo oggi, pur continuando a battagliare con lui ogni giorno, mi sono persuasa che oppormi ai suoi tentativi di emancipazione è il servizio peggiore che potrei rendergli. C’è un limite sottilissimo tra l’incidere e il castrare. Ed è esattamente quello che, colpevolmente solo da poco, ho capito di non voler valicare.
Continuo a non comprendere i suoi gusti, non condivido sempre le sue scelte scolastiche, e il mio modo di “portarmi” è diverso dal suo. Ma con ciò? Non l’ho messo al mondo per essere una mia replica, neppure io mi piaccio così tanto a ben vedere. E tantomeno per risanare ciò che non è riuscito a me. Non è un bambino messianico, è mio figlio. E non devo schiacciarlo sotto le mie aspettative, lo devo piuttosto mettere nelle condizioni di volare. E di diventare chi capirà di voler essere.
Foto: Pixabay

