Il libro: nella scuola degli operai che leggono Shakespeare

L’opera di un’insegnante racconta i ragazzi che immaginano il loro domani in un angolo nascosto della provincia di Bergamo. L’articolo è apparso sul cartaceo dello scorso sabat 25 ottobre 2025

di Redazione Mamme Magazine

 

C’è un posto, a volte dimenticato, dove il mondo non è ancora così come lo conosciamo. Un’aula. Una classe. Un angolo nascosto in provincia di Bergamo dove diciotto ragazzi – italiani e stranieri, nati in Bangladesh o in Ecuador, a Casablanca o a Pistoia – provano ogni giorno a immaginarsi un futuro.

Miriam D’Ambrosio racconta questa avventura silenziosa e quotidiana in Fuori non è ancora così. Voci da una classe multietnica (Rubbettino), un libro che è diario, testimonianza e atto politico insieme. L’autrice è un’insegnante. Ma non aspettatevi il ritratto patinato dell’eroina della cattedra. D’Ambrosio scrive in punta di piedi, ma senza falsi pudori: qui ci sono i fallimenti, la fatica, la disillusione, la noia che pesa e le parole che a volte non bastano.

Eppure, tra le righe, si intravede la forza ostinata della letteratura: Shakespeare, Leopardi, Wilde diventano interlocutori vivi, compagni di viaggio che sanno parlare anche a chi è arrivato in Italia su un gommone, o ha attraversato l’adolescenza con il trauma cucito addosso. “Fuori non è ancora così”, dice il titolo, e c’è qualcosa di profetico in questa frase. Fuori, nel mondo reale, la scuola inclusiva è spesso uno slogan. Dentro l’aula descritta da D’Ambrosio, invece, l’inclusione è un tentativo fragile ma continuo, fatto di ascolto, di pause, di attenzione. Un laboratorio imperfetto dove nessuno viene lasciato indietro.

Una tregua, se vogliamo, da ciò che fuori aspetta. Il cuore del libro è la “pausa letteratura”: un’ora fuori schema in cui si leggono testi, si fanno domande, si prova a trovare le parole per dire il dolore e il desiderio. In tempi in cui la scuola è al centro di polemiche ideologiche, riforme frettolose e retoriche d’occasione, Fuori non è ancora così è un libro che riporta il discorso su ciò che davvero conta: i ragazzi, le loro storie, i loro silenzi.

È un testo politico nel senso più nobile del termine: ci costringe a guardare chi spesso non ha voce, e ci ricorda che l’educazione è ancora uno dei pochi gesti rivoluzionari rimasti. Non ci sono miracoli in queste pagine, ma un lento apprendistato alla speranza. È questo che fa la differenza. Non una scuola che risolve tutto, ma una scuola che prova a esserci.

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