L’episodio del 13enne arrestato negli Stati Uniti per aver chiesto a Chatgtp come uccidere l’amico a lezione va preso sul serio senza però criminalizzare in modo automatico. Ne abbiamo parlato con la psicologa clinica e psicopedagogista Antonella Elena Rossi
di Manuela Vacca
Un adolescente della Florida è stato arrestato con l’accusa di aver chiesto a ChatGpt consigli su come uccidere il compagno nel bel mezzo della lezione. Le forze dell’ordine sono intervenute dopo il ricevimento di avviso su Gaggle, una piattaforma per la sicurezza scolastica che analizza gli account della scuola e segnala contenuti anomali. Il ragazzo, 13enne, avrebbe dichiarato di aver “trollato” un amico che lo aveva irritato. Uno scherzo che ha creato allarme.
Un episodio da non sottovalutare

“A 13 anni il cervello è ancora in fase di sviluppo, soprattutto nelle aree legate al controllo degli impulsi e alla valutazione delle conseguenze – prosegue -. È possibile che il ragazzo volesse “mettere alla prova” il chatbot o attirare l’attenzione. Ma ciò non toglie che l’episodio vada preso sul serio, senza però criminalizzare in modo automatico. Serve una valutazione psicologica per capire se era solo un gesto impulsivo o il sintomo di qualcosa di più serio”,
Tecnologia e fragilità giovanile
I giovanissimi usano ChatGtp per aiutarsi con le ricerche, trovare la soluzione delle espressioni algebriche e così via. Oppure per semplice divertimento. “La tecnologia, soprattutto quando usata senza filtri o controllo, può diventare una valvola di sfogo per emozioni negative, o peggio ancora, un luogo dove trovare “normalizzazione” di comportamenti devianti – sostiene l’esperta -. Se un adolescente è già fragile o arrabbiato, l’uso solitario di strumenti come i chatbot può rafforzare fantasie distruttive, anziché contenerle. È fondamentale accompagnare i giovani nel loro rapporto con il digitale”.
Repressione o educazione
La psicologa ritiene che l’arresto sia però una “risposta troppo forte, e poco condivisibile, che rischia di essere più repressiva che educativa” mentre il vero obiettivo dovrebbe essere capire la ragione del gesto, non solo punirlo: “Un ragazzo di 13 anni ha bisogno di aiuto, non di un’etichetta penale. Arrestarlo può aumentare il senso di esclusione e devianza, anziché correggerlo”.
La relazione familiare
Secondo la dottoressa Rossi la famiglia deve mantenere un dialogo aperto e autentico, una presenza affettiva senza controllo oppressivo. “Spesso i ragazzi si chiudono perché si sentono giudicati o non ascoltati – spiega -. La scuola, invece, dovrebbe integrare in modo strutturato l’educazione emotiva e digitale: aiutare i ragazzi a riconoscere le emozioni, a gestire la rabbia, e a usare gli strumenti tecnologici in modo critico e consapevole”.
La consapevolezza è una parola chiave quando si cercano punti di orientamento. “L’episodio del tredicenne che ha interrogato un chatbot su come compiere un atto estremo non è solo una notizia di cronaca: è un campanello d’allarme. Ci ricorda che i giovani non hanno bisogno solo di accesso alla tecnologia – conclude la dottoressa Rossi -, ma di una bussola per orientarsi in un mondo dove ogni domanda può trovare una risposta, ma non sempre quella giusta”.
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