Divieti per gonne succinte, minigonne, vestiario da spiaggia: i dirigenti scolastici di tutta Italia sono intervenuti per regolare l’abbigliamento a scuola
di M.V.
Niente ciabatte, bermuda e canotte: non siamo al mare. Basterebbe un po’ di buon senso e non si avrebbe necessità di parlare di apposite circolari dei vari dirigenti scolastici italiani sulla questione del decoro a scuola con tanto di divieti e sanzioni. Ma evidentemente non è sufficiente.
Un po’ ovunque sembra che il tema sia diventato una priorità trasversale nel sistema educativo nazionale, tanto che divieti e sanzioni negli istituti che sono abbastanza simili tra loro. Lo dimostra l’iniziativa di Orizzonte Scuola che ha analizzato alcune circolari, provenienti da diverse regioni, in merito a come abbigliarsi.
In Calabria, Puglia e Sicilia
Un istituto comprensivo di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria, invita “le alunne e gli alunni ad adottare un abbigliamento sobrio, decoroso, pulito e ordinato”, vietando espressamente “abiti scollati o eccessivamente sbracciati, pantaloni a vita bassa, minigonne, abiti attillati o trasparenti, short, pantaloncini”.
Un istituto superiore di Conversano, in provincia di Lecce, aveva emanato una circolare nel 2018 per “non indossare abiti che evochino tenute estive, o anche balneari, del tutto fuori posto in un contesto scolastico: pantaloncini corti, bermuda, canottiere, ciabatte“. E una scuola media di Bisceglie si concentra su “bermuda, shorts, canotte, top scollati, hot pants, gonne succinte, vestiario da spiaggia”.
Un istituto scolastico di Siracusa stabilisce che ò “severamente vietato utilizzare pantaloni corti e/o pesantemente strappati, canotte, top, berretti, ciabatte”.
In Toscana e in Lombardia
Risale allo scorso 12 settembre la circolare di un istituto scolastico di Pisa che impone il divieto assoluto di indossare “ogni tipo di pantaloncino e top di qualsiasi lunghezza e misura”, minacciando l’allontanamento dalla scuola per i trasgressori.
Si parla addirittura del divieto di unghie estremamente lunghe ed appuntite in una scuola di Trezzano sul Naviglio, in provincia di Milano.
Questione di approccio pedagogico
Orizzonte Scuola osserva che il dress code viene generalmente fissato secondo sette principi fondamentali: ambiente educativo, uguaglianza sociale, sicurezza e igiene, rispetto reciproco, regole da rispettare, strumento per garantire rispetto e decoro, esercizio di convivenza civile. E riporta che un istituto comprensivo sottolinea come “la scuola, in quanto luogo formativo, mira ad educare alla libertà intesa come rispetto per sé, per gli altri e per l’ambiente circostante”.
Un istituto scolastico a Siracusa sposa una prospettiva sociologica, sottolineando “diviene sempre più diffusa anche tra gli adulti l’idea che quanto adatto per il mare o una discoteca possa esserlo per un ufficio pubblico, una scuola, un ambulatorio medico”. Un liceo, in provincia di Firenze richiama al rispetto del regolamento d’istituto ma ammette una deroga stagionale: “considerate le temperature dell’ultimo periodo di scuola, sono accolti capi di vestiario come pantaloni corti fino al ginocchio”.
Un cenno al bullismo
Per Orizzonte scuola il documento più articolato è quello di chi ha coinvolto il Consiglio di Istituto nella definizione delle regole per un approccio collegiale. La circolare di qualche mese fa evidenzia come “il dress code può aiutare a ridurre le differenze economiche visibili tra gli studenti, evitando discriminazioni o bullismo legati al modo di vestire”, proponendo “tante soluzioni semplici e allo stesso tempo decorose: pantaloni, tute, leggins, t-shirt, polo, camicie” e “non escludendo anche la possibilità di indossare le divise scolastiche con logo dell’Istituto”.
I commenti sui social
La notizia ha generato molti commenti e confronti sui social. L’abbigliamento dei figli a scuola è spesso una fatica per molti genitori, che leggendo dei divieti esclamano: “finalmente”. Qualcuno vorrebbe le divise come in Irlanda o in Cina. O i grembiuli, che effettivamente avevano il merito di equiparare i bambini nel loro ingresso nel mondo dei grandi.
Alcuni fanno notare che, visto che non ci pensano le famiglie, bisogna delegare alla scuola. Per altri i divieti sono esagerati e ci si chiede se si sta tornando al medioevo. Un fatto è certo: si arriva di nuovo a regolamentare quando basterebbe, appunto, il buon senso.
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