Social media mortale con il Blackout Challenge: la tragedia di Sebastian e il cortocircuito educativo di un’intera società

La sfida del Blackout Challenge rappresenta uno dei tanti pericoli per gli adolescenti nel loro rapporto con i social media. Il nostro esperto interviene sul caso che ha portato alla morte un 12enne inglese in un gioco estremo. Un caso che coinvolge l’intera società

di Nereo De Cesari*

 

Sebastian aveva 12 anni. È morto nella sua camera da letto, da solo, dopo aver partecipato a una sfida virale chiamata “Blackout Challenge”. L’obiettivo? Trattenere il respiro fino a perdere i sensi. L’esito? A volte un video da condividere. A volte, la morte. Non è un caso isolato. Dal 2010 a oggi, sfide online come la Cinnamon Challenge, la Tide Pod Challenge, la Blue Whale, la Benadryl Challenge e la stessa Blackout hanno causato centinaia di vittime, soprattutto adolescenti.

I numeri neri

Secondo i dati di CDC (Codice di Condotta per il Cyberbullismo) e WHO (Organizzazione mondiale della sanità), almeno 82 casi documentati di decessi o ricoveri gravi sono legati a queste sfide negli ultimi 15 anni. Solo la Blackout, secondo People Magazine, ha causato più di 20 morti tra minori negli ultimi 18 mesi. Dietro ogni vittima c’è un errore sistemico che chiama in causa ogni livello della società:

– Un algoritmo che amplifica l’assurdo e premia l’emulazione compulsiva;
– Una piattaforma (TikTok) che in Occidente alimenta viralità pericolose, mentre in Cina viene regolata e indirizzata su contenuti educativi;
Governi e agenzie che non legiferano, non vigilano, non agiscono;
Genitori che, per disinformazione o comodità, affidano la formazione dei figli allo schermo di un tablet.

I bulli in agguato

Non parliamo solo di sfide. Parliamo di cyberbullismo sistemico, agevolato dall’inazione pubblica. Ricordiamo anche il caso di Vincent Plicchi, giovane influencer bolognese che si è tolto la vita in diretta dopo essere stato vittima di una campagna d’odio online. Suo padre era presente, vigile, e aveva instaurato con lui un dialogo costante e protettivo. Ma non è bastato.

In altri casi, quella stessa vigilanza è totalmente assente. E quando l’algoritmo decide, i genitori spesso arrivano troppo tardi. Il dolore non nasce sempre da una challenge, ma il meccanismo è identico: assenza di protezione, algoritmi irresponsabili, silenzio normativo.

Le piattaforme non sono limitate

Il cyberbullismo è stato riconosciuto come reato in Italia con la legge 71/2017. Eppure, le stesse istituzioni che legiferano non impongono alcun limite effettivo alle piattaforme globali. Questo è cyberbullismo istituzionalizzato. Il giorno dopo la morte di Sebastian, TikTok ha continuato a proporre lo stesso video a migliaia di minori. Nessuna legge lo ha impedito, nessun adulto lo ha bloccato. Solo il silenzio — e un letto vuoto. E se tuo figlio, invece di risponderti, un giorno lasciasse il suo smartphone sul comodino… con l’ultimo video ancora in pausa?

Le soluzioni praticabili

È possibile — oggi, tecnicamente e legalmente — implementare:
Filtri algoritmici dinamici su contenuti autolesionisti per minorenni;
Sistemi di tracciamento delle tendenze ad alto rischio (self-harm clustering);
Meccanismi di blocco/ritardo di propagazione su contenuti virali pericolosi;
Auditing esterno obbligatorio per tutti gli algoritmi di raccomandazione;
Obbligo di explainability algoritmica secondo i principi DSA e GDPR. Non sono suggerimenti: sono strumenti già disponibili, che non vengono usati.

E il prossimo video virale?

Ogni giorno di ritardo è una dichiarazione implicita: “Va bene così, possono morire altri bambini”. Alle agenzie di cybersecurity, ai governi, ai manager di piattaforme globali: siete complici per omissione, e non lo potrete dire più sottovoce. Alla comunità scientifica, pedagogica, giuridica: vi state svegliando tardi. Ma se non vi svegliate adesso, non ci saranno più corpi da salvare. Solo articoli da scrivere. E a chi ha letto fino qui, genitore o cittadino: questo non è un articolo. È una domanda. Il prossimo video virale: tuo figlio lo guarderà… o ci sarà dentro?

 

*Nereo De Cesari (pseudonimo)
Cyber Security Specialist

Foto: Pixabay

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