Ben 400mila bambini richiedono attenzione precoce nei disturbi del linguaggio. Per i logopedisti intercettare i segnali critici prima dei 3 anni può significare evitare un aggravamento del quadro clinico
di Redazione Mamme Magazine
I dati sulla popolazione infantile italiana registrano che il 15 per cento dei bambini è un parlatore tardivo: a due o tre anni d’età parla poco o nulla. Sono circa 400mila bambini e il 25 per cento (uno su quattro) sviluppa un Disturbo primario del linguaggio (Dpl, in inglese Developmental Language Disorder, Dld). Purtroppo ancora oggi è spesso non identificato come tale. Però occorre una diagnosi tempestiva per evitare impatti negativi nell’infanzia e nell’adolescenza, dal rendimento scolastico alle relazioni sociali, e in seguito il rischio di depressione e ansia da adulti.
Il disturbo richiede un’attenzione precoce, perché intercettare i segnali critici prima dei tre anni può significare evitare un aggravamento del quadro clinico secondo i logopedisti italiani, che di recente si sono incontrati a Padova per il convegno “Evidence Based Medicine nel neurosviluppo: un focus sul Disturbo Primario del Linguaggio”. L’appuntamento, organizzato dalla Fondazione G.E. Ghirardi E.T.S. in collaborazione con Clasta (Communication & Language Acquisition Studies in Typical & Atypical populations), Fli – Federazione Logopedisti Italiani e LabAcademy.
Presa in carico tempestiva
“È il momento di fare un salto in avanti: Oggi disponiamo di conoscenze più solide, ma occorre rendere omogeneo l’accesso agli strumenti diagnostici e potenziare il lavoro in rete tra pediatri, educatori, clinici e famiglie – afferma Maria Chiara Levorato, referente Clasta, organizzatrice del convegno e già professore ordinario alla Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Padova -. Il nostro obiettivo è migliorare l’identificazione precoce del disturbo e la presa in carico tempestiva, per ridurre le diseguaglianze e le conseguenze, spesso gravissime in adolescenza e in età adulta”
Lo screening prima dei quattro anni
Se il disturbo può essere diagnosticato dai quattro anni, gli indicatori predittivi emergono molto prima, come spiega Tiziana Rossetto, presidente della Federazione Logopedisti Italiani: “Nella fascia 0-3 anni ci sono tappe di sviluppo fondamentali. Per questo sarà centrale il tema dello screening precoce entro i 36 mesi, insieme all’uso di strumenti di potenziamento nella scuola dell’infanzia e al coinvolgimento dei genitori. In Italia abbiamo a disposizione strumenti validati come il Primo vocabolario del bambino, che consente una valutazione semplice ma efficace delle competenze linguistiche”.
Late talkers
Lo screening interessa anche i cosiddetti “late talkers”, ossia i fanciulli che parlano poco o in ritardo rispetto ai coetanei, magari senza sviluppare un disturbo. Lo chiarisce Alessandra Sansavini, professoressa ordinaria di Psicologia dello sviluppo all’Università di Bologna: “A due anni un bambino dovrebbe produrre almeno 50 parole della lingua a cui è stato esposto dalla nascita. E a due anni e mezzo dovrebbe combinare almeno due parole per formare le prime frasi. Anche il gesto di indicare è importante: serve a condividere l’attenzione con l’adulto su ciò a cui il bambino è interessato e vuole comunicare. Se è assente a 12 mesi o ancora scarsamente prodotto a 18 mesi, è un indicatore da considerare”. E specifica: “Questi indicatori predittivi sono condivisi in letteratura devono essere individuati precocemente dai pediatri con la collaborazione di genitori, educatori e insegnanti, e valutati da una équipe multiprofessionale, costituita da neuropsichiatra, logopedista e psicologo, mediante un percorso di valutazione e monitoraggio, attivando anche percorsi per promuovere gli scambi comunicativi tra genitori e bambini e favorire lo sviluppo del linguaggio”.
Attenzione per la salute mentale
Elisa Granocchio, neuropsichiatra infantile dell’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, avverte: “Il Disturbo Primario del Linguaggio è spesso associato ad altre condizioni come l’ADHD, i disturbi della coordinazione motoria o dell’apprendimento. In età adolescenziale o adulta, i ragazzi con Dpl non trattato possono quindi sviluppare ansia, depressione e difficoltà sociali. Tuttavia la genetica sta offrendo nuove chiavi interpretative, studiando alterazioni dei cromosomi sessuali, sbilanciamenti genomici o varianti geniche sono alla base di alcuni fenotipi clinici, aprendo prospettive per lo sviluppo di terapie mirate, come già avviene in altri ambiti del neurosviluppo”.
Rischi durante la crescita
Secondo Anna Giulia De Cagno, logopedista e vicepresidente Fli il Dpl non sparisce con la crescita, ma prende forme meno riconoscibili: “Studi recenti mostrano che oltre il 15 per cento degli adolescenti presenta difficoltà comunicativo-linguistiche significative, con un rapporto di 2:1 tra maschi e femmine. Le difficoltà riguardano la comprensione dei testi scolastici, la produzione scritta, il linguaggio metaforico e le relazioni sociali. Più del 60 per cento dei ragazzi con Dpl riferisce episodi di bullismo. È essenziale che anche le scuole superiori siano sensibilizzate, per evitare che questi ragazzi restino senza diagnosi né supporto”.
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