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Lasciate che i bambini piangano!

Le neo mamme e i neo papà sembrano adoperarsi continuamente affinché i loro bimbi non piangano mai. Ogni volta che il bimbo accenna ad un pianto, corrono in soccorso prendendolo in braccio. E’ mia opinione personale che piangere è perfettamente naturale per un bambino e ci sono situazioni in cui il pianto può portare il piccolo a sviluppare capacità di auto controllo. E’ chiaro, nessuno di noi vuole che il proprio bimbo si disperi per un’intera giornata senza mai intervenire in suo soccorso, ma occorre capire quali sono i momenti in cui il piangere fa parte di un processo naturale, di una acquisizione naturale di eventi esterni. Come ad esempio il pianto in culla o nel lettino prima della nanna. Dalla mia esperienza con i bambini, ho visto che seguendo una certa routine serale, il pianto è diventato parte della stessa, come un naturale processo di auto- consolazione attuato dal piccolo poco prima di addormentarsi. Ci sono delle procedure che ci possono aiutare, se si desidera ad esempio che il bimbo impari a coccolarsi ed addormentarsi da solo nel suo lettino. Provate in questo modo: fate un bagnetto al bambino, e dategli l’ultima poppata prima del sonno. Mettetelo in culla, lasciandolo piangere per un po di tempo. Ogni 15 minuti recatevi dal vostro piccolo, cercate a parole e con piccole carezze di confortarlo e rassicurarlo senza prenderlo in braccio. Molto spesso un piccolo tocco o semplicemente il suono della nostra voce è sufficiente per tranquillizzare e calmare i nostri figli.

Nessuno riesce realmente a spiegare perché l’essere umano piange per cause emozionali. Ci sono due diversi tipi di pianto, uno è quello di tipo emozionale, con lacrime copiose che scaturiscono dagli occhi quando siamo tristi o sconfortati, l’altro è un pianto di reazione, causato ad esempio da agenti esterni che irritano l’organo e i canali visivi. Alcuni ricercatori sostengono che le lacrime fungano da protettori verso alcune sostanze che possono dar fastidio all’occhio, esattamente come altri organi, reni e polmoni che fungono da filtro. Non si è certi della ragione, e ancora non ci sono spiegazioni esaustive in merito, ma sembra che il corpo produca una lacrima in risposta ad un’emozione, di composizione differente dalla lacrima prodotta come reazione ad una irritazione. Dal momento che un bambino viene al mondo ha bisogno di attenzione e tenerezza. Molte persone pensano che consolare un bambino dal suo pianto, voglia dire viziarlo, tenerlo sempre in braccio, offrire una immediata consolazione che non da buoni frutti nel futuro. Non sono certa di questo, ma so per certo che qualche lacrima non può certo far male. Bisogna però imparare a distinguere il tipo di pianto, assicurarsi che lo stesso non sia la reazione ad una causa che richiede il nostro intervento. Se il bambino ha fame, o è arrabbiato, o c’è qualcosa che lo infastidisce, comincerà a piangere. Una volta verificato che non c’è nulla che richieda una nostra attenzione particolare, si può lasciarlo piangere, per imparare a calmarsi da solo e auto consolarsi. Alcuni ricercatori, pensano che i bambini che hanno ottenuto una immediata consolazione dai genitori ai primi accenni di pianto durante i primi 6-8 mesi di vita, piangono meno dei bambini che sono stati lasciati a piangere più spesso e più a lungo. E’ difficile poter fare una distinzione in merito. Chiaramente questi bimbi piangono meno spesso, ma è vero che trascorrono tra le braccia dei genitori e dei familiari la maggior parte del tempo.

Che lo crediate o no, piangere è uno dei compiti del bambino. Almeno questo è quello che crede la maggior parte dei genitori da me intervistati. Certo, non si può lasciar piangere il bambino continuamente. Nel mio caso, io faccio piangere i miei figli solo prima di addormentarsi. Penso che questo li aiuti a comprendere che cosa significa “andare a letto”. Se il piccolo è cullato costantemente, man mano che cresce avrà difficoltà a capire perché ad un certo punto questo comportamento deve cessare; probabilmente, quando il bimbo avrà un anno e va messo a letto da solo per dormire, si avranno molte difficoltà e ribellioni. Piangere è il mezzo con il quale il bimbo comunica quello che desidera in quel momento, per che cosa protesta, una reazione ad un evento per lui ignoto. Siamo noi che dobbiamo insegnarli che ci sono diverse situazioni nell’arco di una giornata e scandire i suoi tempi; fargli capire quando è tempo di giocare e quando è tempo di dormire. Imparare a gestire il suo pianto, può rappresentare un valido aiuto affinché il bimbo acquisisca in maniera naturale le abitudini e la routine dell’ambiente in cui vive.

Scritto da Daniela Antinozzi
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